venerdì, 29 Marzo, 2024
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Stagflazione? L’Ue rischia più degli Usa

Le decisioni delle Banche centrali, Fed e Bce, sono influenzate dal mix di inflazione in salita e crescita che rallenta. Quali rischi nel breve e medio periodo per le economie occidentali? Ne parliamo in questa intervista con il prof. Ubaldo Livolsi banchiere ed advisor, esperto internazionale di mercati finanziari.

Prof. Livolsi per la prima volta dal 2018 aumenta il costo del denaro, la Fed questa settimana ha confermato il primo aumento dei tassi di 25 punti base, ce ne saranno almeno atri sei. Secondo lei, potrebbe esserci un rischio stagflazione, soprattutto considerando la situazione geopolitica?
Come ha spiegato lo stesso Jerome Powell, il presidente della Federal Reserve, l’organismo da lui guidato ha il compito di conseguire la stabilità finanziaria con l’inflazione mantenuta entro l’obiettivo del 2% da un lato, dall’altro il sostegno economico allo sviluppo e alla occupazione. Oltreoceano il costo dei carburanti è quasi raddoppiato, crescono il prezzo di cibo, alloggi e servizi. L’inflazione negli Usa è oramai salita al 7,9%, la più alta da 40 anni a oggi e la Fed a questo punto non poteva che intervenire con un rialzo del tasso di sconto dello 0,25%, il che, come lei ricorda, non succedeva dal 2018. Nei prossimi mesi sono previsti altri incrementi, con l’istituto che vuole arrivare a un tasso d’interesse dell’1,9%, per poi salire al 2,8% nel 2023. Il dubbio è che tutta questa serie di interventi, sommati alle conseguenze della guerra, che spingeranno a ridurre le attività economiche, non determini una situazione di stagflazione, vale a dire un’inflazione a livelli alti e in crescita e un raffrenamento della crescita economica. Bisogna dire che il conflitto ha evidentemente aspetti di imprevedibilità a seconda della sua evoluzione. Si pensi a cosa potrebbe succedere se fosse coinvolta direttamente la Nato. Comunque, l’economia americana rimane solida e gli analisti della Fed ritengono che quest’anno crescerà del 2,8%. Certo i rischi di una frenata dell’economia e anche di recessione esistono. Sempre la stessa Federal Reserve indica rischi di recessione al 33%, mentre il dato dell’Europa viene dato al 50%.

Sul golden power negli ultimi giorni si parla di innalzamento della protezione per la sicurezza nazionale soprattutto su banche, assicurazioni e settore telecomunicazione esiste un reale pericolo di acquisizioni da parte dei grandi colossi asiatici e americani?
Tra i tanti effetti di questa terrificante guerra in Ucraina è che si sta accentuando e accentuerà sempre più uno dei problemi della globalizzazione, cioè la possibilità dell’acquisizione di aziende nazionali da parte di soggetti esteri. Credo che abbia fatto bene il Governo presieduto da Mario Draghi a inserire nel decreto dei giorni scorsi il rafforzamento della golden power su settori strategici: dalla comunicazione all’energia ai trasporti, dalla salute all’alimentare alla finanza. Molto significativo anche il passaggio per la sicurezza delle reti, dei sistemi informativi e dei servizi informatici della PA. Vorrei qui fare notare un aspetto particolare. Se è vero che la golden power, nell’ottica della globalizzazione di cui dicevo, porta con sé il rischio dell’esposizione all’acquisizione di alcune nostre eccellenze produttivi da parte dei colossi Usa e asiatici, tuttavia questo provvedimento, sottolinea che dovranno essere notificati gli acquisti di partecipazioni da parte di soggetti appartenenti all’Ue. Mi sembra un’indicazione importante, che persegue l’obiettivo e il dovere che ogni Stato ha di tutelare i propri settori strategici. Ciò, va detto per completezza, non è contrario, anzi rafforza il ruolo centrale e la solidità dell’Unione europea, che non dimentichiamo somma il 25% del Pil mondiale ed è l’area dove avvengono gran parte delle spese della difesa. Penso che tutto ciò possa essere prodromico a nuove evoluzioni nella geopolitica e della geoeconomia. La guerra ha spinto inevitabilmente l’amministrazione Usa verso la vecchia Europa, così da lasciare libero spazio alla Cina nell’area del Pacifico. A sua volta bisognerà vedere come Pechino vorrà tarare il suo rapporto economico con Mosca. L’economia europea pesa molto di più di quella russa.

 L’Istat ha dato conferma di un caro vita al 5,7% in febbraio per quanto riguarda la sola Italia, si tratta del valore più elevato dal 1995. La Lagarde ha affermato che la Bce sarebbe pronta a fare un passo indietro sulla riduzione degli stimoli monetari. Considerando la situazione europea, ben diversa dagli Usa, secondo lei, quanto impatterà negativamente a livello economico la situazione geopolitica del momento? Pensa che questa rivisitazione in contro tendenza con la Fed possa essere possibile?
A febbraio, come lei dice, secondo l’Istat l’inflazione ha registrato un aumento del 5,7% su base annua. Per l’ottavo mese consecutivo essa ha raggiunto livelli che aveva toccato ormai nel lontano 1995. A fare salire l’inflazione sono i prezzi dell’energia, che trascinano in alto in particolare il costo dei beni alimentari. Il recente decreto di Palazzo Chigi ha mobilitato altri 4,4 miliardi di euro, finanziati dalle aziende del comparto energetico, e prevede la diminuzione del costo di benzina e gasolio, la possibilità per le aziende di rateizzare il costo alle bollette e sostegni alle famiglie bisognose. Per parte sua, la presidente della Bce, Christine Lagarde, ha confermato che ci troviamo di fronte a una situazione di incertezza assoluta e ha detto che la guerra ha portato l’economia europea in un “territorio sconosciuto”. Ciò riguarda direttamente tutti i Paesi membri e quindi anche l’Italia. È davvero difficile prevedere che cosa potrà succedere con una guerra che si combatte a pochi chilometri dal confine della Polonia, membro dell’Unione europea e della Nato. Il nostro premier ha parlato della possibilità di un Recovery Plan di guerra da cento miliardi per affrontare la crisi energetica e dell’approvvigionamento di materie prime che sta affrontando l’Europa. La stessa Lagarde è tornata sull’argomento, sottolineando la vulnerabilità collettiva che deriva dalla dipendenza economica in termini di rifornimento energetico. Tuttavia, la Bce continuerà a seguire il principio di prudenza e sta per ora valutando la necessità di riduzione degli acquisti netti di titoli, non il rialzo dei tassi, come fatto da Usa e Uk.

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