sabato, 20 Aprile, 2024
Politica

Immigrazione: si cambia. Ma…

Dopo un anno trascorso pericolosamente all’insegna della linea di Salvini tra navi bloccate con naufraghi a bordo, porti definiti chiusi mentre avvenivano sbarchi continui di barchini sulle coste, polemiche continue con gli altri Paesi europei, sul tema dell’immigrazione si cambia registro.

“L’Italia non è più sola”, dice il neoministro dell’Interno Lamorgese, che in silenzio e senza clamori di stampa, ha iniziato un paziente e intenso lavoro di ricucitura di rapporti con i colleghi degli altri Paesi europei con cui l’Italia deve condividere il problema della gestione degli immigrati.

Il Presidente del Consiglio Conte ha già ottenuto maggiore attenzione dalla Francia e dalla Germania e tutto lascia pensare che a breve si andrà verso una ripartizione automatica degli immigrati che sbarcano in Italia e a Malta.

La certezza di una pianificazione programmata delle quote di immigrati che devono essere divisi tra i vari Paesi è un’ottima notizia per l’Italia. Ma bisogna valutare attentamente le conseguenze che questa nuova politica potrà avere.

Sicuramente ci sarà un allentamento della pressione nei centri di accoglienza italiani che non saranno più un’area di parcheggio di esseri umani senza alcuna certezza per il loro futuro, ma solo una zona di transito temporaneo per ulteriori destinazioni.

Questo farà aumentare, però, il flusso dei migranti che si dirigeranno verso l’Italia, sicuri che i porti saranno aperti e che non ci saranno più politiche disumane contro i naufraghi.

Ma un aumento incontrollato dei flussi migratori potrebbe creare ulteriori problemi.

La domanda è molto semplice: fino a che punto i Paesi che si renderanno disponibili a ospitare quote di immigrati potranno conservare questa loro disponibilità?

In soldoni, è un problema di numero di persone di cui ogni Paese possa realmente farsi carico ogni anno.

Per non offrire argomenti ai sovranisti, che sicuramente tuoneranno contro l’aumento degli sbarchi, e torneranno a parlare di “invasione” bisognerà pure dimostrare che la politica dei porti aperti e delle ripartizioni non significa “accogliamoli tutti”.

E qui l’Europa deve fare davvero un salto di qualità ulteriore rispetto al superamento del regolamento di Dublino e rispetto anche ad una politica di solidarietà verso l’Italia.

Occorre decidere se oltre agli obblighi di accoglienza verso i profughi e i rifugiati politici si deve attuare una politica verso i migranti economici, di cui abbiamo bisogno ma non in numero infinito.

È evidente a tutti che senza la manodopera aggiuntiva di tanti extracomunitari molte attività agricole e tante piccole e medie aziende chiuderebbero. E questo vale non solo per l’Italia.

Si tratta quindi di quantificare, annualmente, di quanta manodopera l’Italia e ogni altro Paese europeo può avere bisogno e programmare i flussi migratori sulla base di questa necessità e della effettiva possibilità di assistere e ospitare civilmente coloro che vengono da noi in cerca di lavoro.

Ogni Paese non può fare da solo. Occorre una programmazione europea di questi flussi che poi andranno gestiti tenendo conto dei problemi dei Paesi di prima accoglienza (come l’Italia) e della ripartizione rapida degli immigrati che arrivano.

Ma per realizzare una politica programmata dei flussi migratori occorrono accordi dell’Europa con tutti i Paesi dalle cui coste partono gli immigrati e, possibilmente, anche con i Paesi di origine. Si tratta di mettere in piedi una complessa macchina diplomatica e organizzativa che preveda centri di accoglienza nei Paesi che stanno sull’altra sponda del Mediterraneo, gestiti dall’Europa, con criteri di civiltà e non di barbarie come avviene nei centri di detenzione in Libia.

Solo programmando in ottica comune i flussi e costruendo una rete di filtri nei Paesi africani si potrà evitare che la nuova politica di ripartizione dei migranti possa diventare a sua volta ingovernabile per l’altissimo numero di arrivi.

Se non si vuole evitare un effetto boomerang che dia, paradossalmente, più argomenti ai sovranisti, occorre gestire in ottica di lungo periodo l’immigrazione e lo si può fare solo con una politica condivisa tra i Paesi europei e con iniziative che coinvolgano i Paesi africani.

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