Mentre ferve la polemica sulla riforma della giustizia e sull’abolizione del reato di abuso d’ufficio, né la politica né la magistratura sembrano porsi il problema della specializzazione dei giudici che quotidianamente si occupano di questioni altamente tecniche, non sempre avendo la necessaria preparazione da trasfondere nelle sentenze rese.
In un mondo sempre più complesso, la giurisdizione tradizionale sta infatti mostrando i suoi limiti nel fronteggiare i problemi (vecchi e nuovi) che arrivano sul tavolo del giudice al termine di un’istruttoria spesso compiuta – almeno in ambito penale – da ufficiali della polizia giudiziaria più adusi ad occuparsi di delitti ordinari che di reati contro la Pubblica Amministrazione.
Settori come quello appena indicato, dove le questioni legali possono annodarsi con le tecnicalità proprie di materie altamente complesse, rendono allora evidente l’esigenza di una giurisdizione dotata di competenze tecniche particolarmente elevate.
La soluzione potrebbe risiedere nell’istituire giudici specializzati, formati e valutati secondo obiettivi ben definiti.
Si tratta di una scelta politica di buon senso che non dovrebbe dar luogo a polemiche, ma purtroppo ben sappiamo come – almeno in Italia – ogni tentativo di migliorare la qualità della giurisdizione si scontri inevitabilmente con gli atteggiamenti corporativi delle rappresentanze dei magistrati, abituati a rispondere soltanto alla Legge (e cioè a sé stessi): punto e basta.
In attesa di una riforma costituzionale che ponga fine a questa peculiarità solamente italiana, ritengo sia arrivato il momento di offrire ai cittadini almeno lo spettacolo di una magistratura che conosca meglio di loro i vari profili del rapporto fra autorità e libertà: un rapporto le cui degenerazioni vengono correntemente definite come “reati dei colletti bianchi”.
Prendete, a solo titolo esemplificativo, la materia degli appalti: quando si può dire di essere davvero di fronte a un’ipotesi di turbativa d’asta? O quali condizioni debbono ricorrere per far ritenere un subappalto come frutto di intese illecite con l’appaltatore o, peggio, con la stazione appaltante? Se qualcuno dei miei lettori si prendesse la briga di compulsare le sentenze rese in questa materia negli ultimi vent’anni, si accorgerebbe di come la certezza del diritto sia andata più volte a farsi benedire in favore dell’esigenza di assicurare dei non colpevoli alla giustizia.
Si è potuti giungere a questo punto perché la giurisdizione italiana si è sempre basata su un principio generale: appunto la onniscienza del giudice, che si occupa di diverse materie, saltando dall’una all’altra con la velocità dell’acrobata. Tuttavia, questo modello dimostra da tempo di non essere più idoneo ad affrontare questioni specifiche e tecniche, come quelle legate all’attività delle pubbliche amministrazioni.
Quando un giudice deve esprimersi su questioni di diritto che intrecciano norme giuridiche e concetti tecnici, il rischio è che la decisione finale possa non essere pienamente adeguata alle esigenze di giustizia che si debbono tutelare: un giudice specializzato, al contrario, avrebbe sia le competenze giuridiche che quelle tecniche per analizzare il caso con maggiore profondità e precisione e non si tratta neanche di un modello nuovo, perché l’esperienza positiva dei Tribunali delle Imprese dovrebbero aver mostrato a tutti – non solamente agli addetti ai lavori – l’importanza di aver di fronte magistrati scelti solamente perché dotati delle competenze adeguate per rispondere alla domanda di giustizia nel settore di riferimento.
L’introduzione di giudici specializzati richiede però una revisione radicale del modello di formazione loro applicabile, esattamente come avviene in molti altri Paesi dell’Occidente.
Questi giudici dovrebbero frequentare uffici pubblici ed avere formatori ad hoc, che si concentrino non solo sulle norme giuridiche, ma anche su quelle tecniche e amministrative: corsi speciali, stages e seminari potrebbero completare il loro percorso formativo.
Parallelamente, sarebbe essenziale introdurre sistemi di valutazione basati su obiettivi chiari e predeterminati. Questo permetterebbe di monitorare costantemente le performance dei giudici, assicurandosi che le competenze acquisite siano sempre all’avanguardia.
L’introduzione di giudici specializzati potrebbe finalmente portare a una maggiore efficienza nel sistema italiano di giustizia, con decisioni più precise e una maggiore soddisfazione in capo alle parti coinvolte: inoltre, potrebbe contribuire a ridurre i tempi dei processi, ancora troppo lunghi e onerosi.
Tuttavia, la specializzazione presenta anche delle sfide: il rischio è che si creino delle “nicchie” di giurisdizione, con una frammentazione eccessiva del sistema.
Inoltre, la formazione e la valutazione continuativa richiederebbero investimenti significativi che il ritorno al Patto di Stabilità impedirebbe, almeno oggi, di affrontare.
Però, se è vero che il modello giudiziario tradizionale italiano è ormai di fronte a nuove e complesse sfide, per rispondere efficacemente a queste esigenze, la strada della specializzazione appare come la soluzione più adeguata.
Tuttavia, è fondamentale affrontare il cambiamento con una visione chiara, bilanciando benefici e costi, per assicurare finalmente l’avvento di un sistema giudiziario efficiente e al passo con i tempi e con i luoghi, anche sovranazionali, dove si fabbrica quotidianamente la giustizia.