mercoledì, 1 Maggio, 2024
Il Cittadino

Vessazioni e riequilibrio legislativo

Non si può non cogliere una certa contraddizione nella timida azione di governo sulle questioni di giustizia. Da un lato difatti si ammette l’esistenza di leggi vessatorie sulle quali intervenire con riforme che riequilibrino la posizione di mera soggezione del cittadino (che se soggiace non è più tale); dall’altro, magari sull’onda emozionale di qualche episodio di cronaca (tipo l’incidente dello youtuber di Casal Palocco a Roma o l’assassinio di Giulia Tramontano, la ragazza in cinta al settimo mese, trucidata due settimane fa nel milanese), si propongono inasprimenti di pena e scorciatoie per condanne più facili.

È un vecchio vizio italiano: dove lo Stato non riesce ad offrire soluzioni ed alternative, inasprisce leggi e sanzioni e scarica le responsabilità sui cittadini. Un esempio facile ed inaspettato mi viene suggerito da un intervento televisivo a “L’aria che tira” (La7) di Jacopo Marzetti (già Garante per l’infanzia della Regione Lazio e ora presidente del Comitato di applicazione del Codice di autoregolamentazione media e minori) il quale richiesto di un commento sulla punitive proposte di modifica del codice della strada riguardo ai ragazzi neopatentati, testualmente risponde: «oltre le leggi: educazione e corsi sulla sicurezza stradale. Ma soprattutto alternative. Perché oggi le città non forniscono alcun aiuto ai ragazzi. Fuori dalle discoteche non c’è un autobus,  non c’è un taxi! Questi ragazzi come tornano a casa, dopo aver bevuto,  magari purtroppo a volte ”sballati”? Serve maggior controllo preventivo, ma diamogli soluzioni: le città in questo momento non danno alternative ed i ragazzi sono costretti a prendere la macchina e poi succede quello che succede».

Responsabilità loro, ma lo Stato non c’era, non vigilava, non offriva una soluzione differente.

Interviene dopo, punendo il colpevole, il mostro di turno, ma senza mai guardarsi allo specchio.

Eppure, mentre vengono prospettate queste leggi più restrittive e punitive, con una filosofia completamente differente si ammette che le leggi sono spesso ingiuste, sopraffattorie verso i cittadini.

Lo si afferma addirittura al massimo livello, con la Presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, in un videomessaggio all’assemblea dell’Ance, l’associazione dei costruttori edili: «Con la delega fiscale vogliamo creare un fisco alleato di chi fa impresa e produce ricchezza, non un fisco nemico e quasi vessatore, questa è la nostra visione»; basando la riforma su un rapporto di fiducia, come per il codice degli appalti, perché spiega la premier «non si può partire dal principio di colpevolezza verso tutti come è stato per troppo tempo: abbiamo ribaltato questo paradigma nel codice degli appalti e intendiamo farlo in tante altre riforme a partire dalla delega fiscale».

Gli fa eco il Guardasigilli Nordio, impegnandosi a seguire «i principi della semplificazione normativa, perché noi abbiamo una legislazione tributaria schizofrenica e piena di ossimori» e concludendo con una dichiarazione di una verità assoluta, volutamente e strumentalmente travisata politicamente: «Se l’imprenditore onesto decidesse di assoldare un esercito di commercialisti dicendo loro “io pago fino all’ultimo centesimo di imposte e pago voi e voi mi dovete far dormire sonni tranquilli” non ci riuscirebbe, perché comunque qualche violazione verrebbe trovata».

Insomma il riconoscimento da parte di due fondamentali organi del potere esecutivo, di un tema moto caro a chi scrive: in Italia tutto è vietato, tutto è tollerato, finché…

Quindi ottima ed onesta l’ammissione di leggi vessatorie, ma necessità di guardare ad una riforma, proponendo un’autentica rivolta culturale.

Rivolta culturale che deve consistere nella parità di posizione tra accusatore (o erario) ed imputato (o contribuente) e non in una legislazione che pone in materia tributaria e con alcune leggi speciali in materia penale, una serie di presunzioni – di fatti che non devono essere provati – con l’intento di facilitare la condanna. Un principio caro a molti inquisitori, ma vessatorio, da Stato illiberale, da regime, insomma.

Un timido passo verso un cambio di cultura è rappresentato dalla riforma in materia penale, proposta dal Ministro Nordio, con un disegno di legge, la forma più democratica possibile: non un decreto, non una legge dal Parlamento delegata al Governo, ma una proposta da discutere tra tutti in Parlamento, con pari opportunità.

Si tratta di un tentativo che in primo luogo ha di mira alcune norme fumose, vaghe, che, non descrivendo in maniera precisa il comportamento che la legge vuole punire, lasciano infinite possibilità di ipotizzare un reato in qualsiasi comportamento. Innanzitutto il reato di abuso d’ufficio, l’incubo dei sindaci e dei dirigenti di amministrazioni locali: un reato che consiglia il non fare, il rifiuto della firma. Norma che, favorita dall’alibi dell’azione penale obbligatoria consente di procedere ogni anno contro migliaia di amministratori, che a stento capiscono, quale fosse il comportamento punito dalla legge; ma si arriva a condanna nell’1% dei casi. Quindi mera afflizione verso il cittadino amministratore; un modo per tenerlo sotto scacco, con l’incubo del processo. Che è pena di per sé e che costa moltissimo: allo Stato ed al privato.

Altro reato fumoso che il ddl propone di modificare è quello del traffico di influenze, altro vaga ipotesi che può trasformare anche un semplice rapporto sociale in un reato. La legge proposta descrive la fattispecie con più precisione e richiede una prova: le relazioni tra pubblico funzionario e privato dovranno essere concrete ed esistenti e con finalità  illecite; l’utilità da ricevere economica.

Il ddl Nordio propone anche limiti alle intercettazioni: ma solo sotto il profilo della pubblicazione e del potere-dovere dei giudici di tutelare i terzi, estranei al processo, stralciando dati personali che li riguardino. Non tocca, però, la possibilità di farle.

Intercettare un dialogo tra due persone è un’arma potentissima, che se non utilizzata con la massima imparzialità e buona fede può portare ad aberrazioni.

Non è un problema di oggi, se già nel 1600 il Cardinale Armand-Jean du Plessis de Richelieu, sollecitava le sue guardie: «Datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini, e vi troverò una qualche cosa sufficiente a farlo impiccare».

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