venerdì, 26 Aprile, 2024
Politica

Referendum: il calcolo sbagliato del Pd

Il Si del Pd al referendum costituzionale è stato molto più sofferto di quanto non sia apparso. E questo non solo per l’aperto dissenso di alcuni autorevoli dirigenti ma anche per la scarsa convinzione dello stesso segretario nel fare questa scelta.

Era una scelta obbligata? No, perché, formalmente, non  erano stati rispettati gli accordi sottoscritti all’atto di formazione del Governo Conte-2, e cioè di accompagnare il taglio dei parlamentari, o come elegantemente dicono i 5 Stelle, delle poltrone, quanto meno ad una adeguata legge elettorale in grado di mitigare alcune delle storture che il taglio lineare creerebbe.

Zingaretti poteva prendere atto del mancato rispetto dell’intesa  e non dare un’indicazione di voto, lasciando liberi gli elettori del Pd.

Invece il gruppo dirigente del Pd ha deciso per il Si. Dalle dichiarazioni di Zingaretti e di altri si intuisce il motivo: il Pd è sicuro che il Si vincerà e non vuole lasciare ai 5 stelle  il vantaggio di intestarsi da solo la vittoria.

È un calcolo sbagliato.

Se il Pd avesse lasciato libertà di voto, molti suoi dirigenti avrebbero potuti esprimersi per il No, e  qualche intellettuale e costituzionalista che, per disciplina si arrampica  generosamente sugli specchi per  sostenere le ragioni del Si, sarebbe stato libero di parlare da tecnico e non da difensore d’ufficio del partito. Il “liberi tutti” del Pd avrebbe sicuramente spostato molti voti a favore del No rendendone possibile la vittoria. 

In politica serve coerenza e anche coraggio. In cuor loro gran parte dei membri della Direzione non erano convinti per il Si:  avrebbero dovuto assumersi la responsabilità di dirlo e di comportarsi di conseguenza. L’etica della testimonianza, cioè della coerenza con i propri valori, è fondamentale soprattutto quando non è in conflitto con l’etica della responsabilità, che valuta le conseguenze concrete di certe scelte.

L’esito del referendum, infatti, non peserà sul Governo, il cui Presidente del Consiglio saggiamente si è sfilato dalla competizione. Né saranno alterati gli equilibri interni alla maggioranza: se vincono i Si i 5 stelle non potranno chiedere più “poltrone” per usare il loro linguaggio e nessuno potrà alzare la posta perché alternative a questa maggioranza e a questo governo non esistono. Quindi sul piano delle conseguenze il Pd non avrebbe dovuto avere alcun timore.

Illudersi che in caso di vittoria del Si il Pd possa salire sul carro trionfale dei vincitori ed essere osannato da folle tumultuose  è un errore madornale. Saranno i 5 Stelle e solo loro a prendersi comunque il merito e lo faranno con il loro linguaggio, il loro simbolismo , la loro “narrazione” sommaria e antipolitica sollevando un frastuono che coprirà le pacate riflessioni del Pd che non ne trarrà alcun vantaggio. Anzi. Le fratture interne potrebbero acuirsi e far saltare la paziente opera di ricucitura che Zingaretti ha finora gestito con equilibrio.

Se vincono i Si, i 5 Stelle diranno che  ha avuto successo la loro battaglia contro le poltrone, si ricompatteranno -almeno per qualche settimana- e riprenderà vigore il  loro populismo più deteriore che, questo si, potrà creare difficoltà al Governo. 

Zingaretti si è cacciato in un vicolo cieco. Se vincono i Si il Pd apparirà come un alfiere al servizio di sua maestà il Movimento 5 Stelle che detta la linea; i malumori interni cresceranno e potrebbero sommarsi all’esito delle elezioni regionali che difficilmente segneranno una vittoria del Pd, al massimo ci sarà una improbabile  non-sconfitta.

Se vincono i No per il Pd si mette davvero male, perché apparirà come perdente e subalterno ai 5 Stelle. Se hai puntato sul cavallo vincente e non su quello che secondo te era migliore, e poi perdi la scommessa, hai perso due volte.

Per dirla tutta, la colpa di questa situazione è del Pd che, dopo l’approvazione parlamentare della riforma costituzionale,  avrebbe dovuto subito promuovere un accordo non solo sulla legge elettorale ma anche sulla riforma del bicameralismo in cui inserire il “taglio”. Se oggi avessimo una proposta di riforma organica  del bicameralismo condivisa quanto meno da Pd e 5 Stelle e magari già approvata in una delle due Commissioni Affari Costituzionali, il Si al taglio sarebbe ampiamente indolore. Anche io voterei Si. Ma non c’è e non ci sarà nulla di tutto questo, perciò non resta che votare No.

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