venerdì, 19 Aprile, 2024
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Economia di guerra: la tempesta c’è ma la nave è ben guidata

Inflazione in rapida ascesa, calo della crescita  ma la recessione non è dietro l’angolo ,tensione  senza scombussolamenti negli scambi internazionali e, finalmente, una politica energetica italiana. Sono i temi su cui il Prof. Ubaldo Livolsi, banchiere ed advisor, esperto internazionale di mercati finanziari espone le sue acute considerazioni in questa intervista.

Prof. Livolsi, il caro energia, sta mettendo sotto stress le Pmi del tessuto produttivo italiano, realtà sottocapitalizzate e bancocentriche che soffrono da una parte per i rincari dall’altra anche per il crescente costo del denaro, quale sarà il futuro delle nostre aziende?
La guerra in Ucraina ha portato il nostro sistema Paese e le Pmi in una situazione di difficoltà molto elevata. Secondo i dati di marzo dell’Istat, l’inflazione in Italia ormai sfiora il 7% (+6,7% in un anno, +1,2 rispetto a febbraio). Una condizione a cui non eravamo più abitati, livelli simili furono toccati oltre 30 anni fa, nel 1991. A pesare sono i beni energetici (+52,9% su base annua) e quelli non regolamentati (carburanti, combustibili ed energia sul mercato libero, +38,7%). Inizia anche ad aumentare il costo del denaro, anche se i tassi non sono ancora stati alzati dalla Bce, a differenza di quanto fatto dalla Fed e dalla Banca centrale britannica. I BTp Italia sfiorano l’8%. Inizia farsi sentire anche il fatto che l’istituto presieduto da Christine Lagarde ha iniziato a ridurre gli acquisti dei titoli di Stato nazionali, il che va a incidere sul nostro debito. Quest’ultimo, va detto, continua a crescere per questi “cigni neri”, prima la pandemia, oggi la guerra ai confini dell’Europa. Secondo Bankitalia, il nostro debito pubblico a gennaio torna a salire rispetto alla contrazione dei due mesi precedenti, raggiungendo i 2.714 miliardi, più 36 miliardi rispetto a dicembre e più 107 rispetto a gennaio 2021. Un dato che dovrebbe continuare a crescere, visti i provvedimenti del Governo, a partire da quello per contrastare il caro bollette, con ormai, con le prossimi decisioni annunciate, quasi 15 miliardi stanziati. La stima del 4% di crescita della Commissione europea per l’Italia prima della guerra in Ucraina non potrà essere raggiunta, come ricordato nel Def presentato in questi giorni dal ministro del Mef Daniele Franco. Le nostre Pmi, come abbiamo evidenziato più volte in questa rubrica, hanno uno storico problema di sottocapitalizzazione e dipendenza dalle banche e c’è un ritardo al ricorso alla finanza alternativa dalla quotazione in borsa a strumenti più tecnici (mini-bond, crowdfunding, invoice trading, direct lending, ICOs, private equity e venture capital). Non vogliamo però qui dare un messaggio negativo. La situazione è molto difficile, ma abbiamo ai vertici delle istituzioni politiche e finanziarie, sia italiane che europee, persone capaci che stanno gestendo al meglio la situazione. La guerra sta facendo mettere da parte divisioni ed è questa la strada da percorrere, con il coordinamento e a condizioni di intenti e obiettivi condivisi, coinvolgendo tutte le parti in causa: politica, imprese e sindacati.

Nonostante il rublo abbia ripreso il valore prebellico, il dollaro rimarrebbe la principale valuta globale, ma la sua supremazia verrebbe minacciata da un sistema più frammentato e lo stiamo già vedendo, visto che negli scambi commerciali alcuni Paesi rinegoziano nella valuta in cui vengono pagati, in questo contesto pare che il Cremlino riesca a raggirare le sanzioni, in che modo?
Una delle conseguenze della guerra in atto è che evidenzia come la macroeconomia sia una scienza viva, le cui prassi si evolvono. In un mondo globalizzato come l’attuale, le transazioni economiche sono basate sulla piattaforma “Swift”, adottata dalle principali banche internazionali, che utilizza come benchmark il dollaro e l’euro e consente di convertire nella moneta dell’acquirente. Come noto, tra le sanzioni verso la Russia, fondamentale è il blocco dei conti in euro e dollari dei principali istituti di credito russi e tutta una serie di provvedimenti che hanno fatto sì che il rublo valesse meno di un penny americano. Adesso la moneta russa è risalita, grazie anche alla decisione di Putin di chiedere che il pagamento delle forniture di beni energetici avvenga in rubli, ma per ora gli stati europei si sono opposti sostenendo il rispetto dei contratti, che nella quasi totalità dei casi prevedono esplicitamente pagamenti in euro o dollari. Il rischio che alcuni paventato è che la situazione possa spingere la Cina, grazie alla sua disponibilità in termini sia di risorse che di tecnologie possa, a creare una propria piattaforma di conversione dei pagamenti, disallineando e creando nuovi squilibri nell’economia globale attuale. Sono però convinto che a Pechino, di cui conosciamo bene l’approccio pragmatico negli affari, non convenga troppo mettersi dalla parte di Mosca nella situazione attuale. Proprio in questi giorni la commissaria europea, Ursula von der Leyen, ha ricordato come ogni giorno le relazioni commerciali della Cina con l’Ue valgono due miliardi di euro, quelle con la Russia 330 milioni.

Molti parlano di rinnovabili per l’indipendenza energetica dell’Italia. Creare una sostenibilità del made in Italy per ridurre la dipendenza del nostro Paese dalle importazioni di fossili dall’estero, l’invasione russa in Ucraina nel breve aiuterà i combustibili fossili ma sarà una fiammata di breve periodo. I Paesi dipendenti da gas e petrolio russo vogliono affrancarsi da questo legame e dunque, contestualmente, ci sarà un’accelerazione degli investimenti nelle energie pulite, pensa che l’Italia possa giocare un ruolo chiave?
L’Italia sta pagando una certa rigidità ideologica per cui oggi non ha quel mix tra carbone, nucleare e gas di altri Paesi, il che fa sì che importiamo il 95% del gas, il 40% del quale dalla Russia. Adesso, grazie anche all’opera del ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani, stiamo differenziando, in accordo con i partner europei, coi quali stiamo anche discutendo un sistema comune di contenimento dei prezzi. Aumenteremo le importazioni da altri, dall’Algeria, dal Qatar e dall’Azerbaijan, potenzieremo l’attività dei nostri tre rigassificatori e stiamo negoziando per l’acquisto di due nuovi rigassificatori galleggianti. Il grosso salto, tuttavia, deriverà dall’utilizzo delle rinnovabili.
Il problema di fondo è semplificare le procedure. Proprio in questi giorni sono stati pubblicati i dati dell’Alleanza per il fotovoltaico, che riunisce i maggiori operatori del settore. In Italia ci sono 35 miliardi di investimenti e 40 GW bloccati per le autorizzazioni, che oggi richiedono dai quattro ai cinque anni. Tempi inaccettabili. Tuttavia, anche qui siamo sulla buona strada e lo stesso ministro Cingolani ha ricordato come il decreto Semplificazioni abbia accelerato le procedure, così da determinare tre GW in pochi mesi rispetto a quanto fatto in due anni. Solo in questo modo l’Italia potrà raggiungere l’obiettivo dei 60 GW entro il 2030, decisivi per ridurre le emissioni di CO2 del 55%. Sarà però fondamentale la consapevolezza di tutti, a partire dagli enti locali, e attuare controlli e severe sanzioni per il rispetto delle regole e nella tutela dell’ambiente.

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