martedì, 19 Marzo, 2024
Cultura

“Il tesoriere” di Calvosa e i torbidi anni ’70

Alla sua prima avventura come scrittore, Gianluca Calvosa ha voluto di impegnarsi in un’impresa complessa: ricostruire il clima politico e morale dei terribili anni Settanta scegliendo come tema i tormenti del Pci di Berlinguer, i suoi tentativi gradualistici di recidere i legami ombelicali perversi con Mosca, la decisione di collaborare con la Democrazia Cristiana per evitare all’Italia una tragedia simile a quella del Cile.

Calvosa che è un ingegnere e manager, ha costruito con meticolosa precisione una galleria di personaggi che, a loro modo, rappresentano il microcosmo di quel tormentato periodo: funzionari di partito non proprio integerrimi, spie del Pci al servizio del KGB, intromissioni improprie dei servizi americani nella politica italiana, alti prelati del Vaticano affaristi e pedofili, agenti “riservati” del Viminale sbruffoni, informatori doppiogiochisti, preti omosessuali praticanti con uomini sposati, giovani traviati dall’uso di droghe e dalla follia del terrorismo. Un torbido intreccio di negatività che ruota intorno ad un funzionario del Pci, ligio al suo dovere, anch’egli non immune da vizietti, che da archivista si vede proiettato ai vertici del partito a occuparsi delle finanze del Pci, in gran parte provenienti da Mosca.

La stessa figura romanzata di Berlinguer non appare, a differenza di quel che avviene nell’iconografia del Pci, come quella di un uomo animato da ideali supremi. È piuttosto ridisegnata con i contorni di un realista a suo modo cinico, che gioisce perché i voti in crescita significano maggiori rimborsi elettorali al partito e minore necessità di andare a bussare ai portoni del Cremlino. Pochi essenziali tratti, invece, disegnano la personalità di Moro con doti di eleganza e autorevolezza.

Per chi, come me, ha vissuto quegli anni prima da giovane impegnato in politica e poi da giornalista, il romanzo di Calvosa rappresenta un’occasione per tornare ad immergersi nell’aria inquinata di quegli anni e rivivere vicende mai state chiare, illuminandole con la luce della cruda demitizzazione.

La lettura è avvincente perché Calvosa usa uno stile immediato, fluido che prende per mano il lettore e lo accompagna nel labirinto dei personaggi senza che possa perdersi, nonostante l’intensità delle vicende che si intrecciano come spire di un cavo, senza sbavature. I dialoghi sono rapidi, incalzanti ma non eccessivi. Il ricorso ad improvvisi flashback costringe il lettore a sbalzi di attenzione che contribuiscono a tenere la tensione sempre alta.

Non è una spy story, né un noir né un romanzo politico puro. Ma un insieme di questi generi ben amalgamato. Alla fine di queste 390 pagine rimane con una sensazione di amarezza per la profonda ambiguità di tutti i protagonisti, tutti caratterizzati da una doppia o tripla identità tipica di chi, non riuscendo a liberarsi del peso di una ideologia politica o di una religione male interpretata, sceglie come via di fuga l’inautenticità e con essa la soppressione di ogni valore.

Gianluca Calvosa: “Il tesoriere” – Mondadori
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