Il ministro Nordio ha spinto perché si estendesse l’impiego delle intercettazioni anche ai reati ambientali, pur essendo contrario alle “intercettazioni a strascico”. Lo ha ribadito a margine della conferenza stampa dopo il CdM, “non è stato mai contrario alle intercettazioni come mezzo di strumento di prova dei reati più gravi.” E così il “sigillo”, come ha espressamente detto, è stato messo anche sui reati ambientali, compreso il traffico illecito di rifiuti, che in un periodo come quello che stiamo vivendo, di emergenza climatica, diventano anche spregevoli.
A supporto della decisione del ministro è intervenuto Andrea Pellicini, di Fratelli d’Italia della Commissione Giustizia della Camera, che proprio sulle intercettazioni dice che “ha fatto bene il Governo a estendere la possibilità per i giudici di disporre intercettazioni anche per i reati che puniscono i traffici illeciti di rifiuti.” “L’ambiente non si difende con slogan retorici, ma con azioni concrete di contrasto contro i comportamenti criminali della malavita. Con il decreto varato dal Governo, oggi le forze di polizia e la magistratura inquirente hanno uno strumento in più per difendere il nostro magnifico territorio e la qualità dell’ambiente in cui viviamo”. In effetti stiamo parlando di un ambito dove si producono e circolano centinaia di milioni di tonnellate di rifiuti speciali che devono essere gestiti, ma che possono facilmente prendere strade deviate e illecite. Tanto per fare un esempio: in poco più di un’ora, ieri, le notizie accertate (figuriamoci quelle sfuggite all’attenzione!) raccontavano di una nave commerciale panamense sottoposta a fermo nel porto di Piombino (Livorno) per inquinamento e scorretta gestione dei rifiuti. A Casamarciano, in provincia di Napoli, sequestro di autocarro per trasporto illecito di rifiuti e un’altra denuncia per sversamento illecito. Sequestro, nel comune di Luzzi, in Calabria di un impianto di depurazione, denunciate due persone.
I rifiuti speciali aumentano
E proprio in questi giorni è stata pubblicata l’edizione 2023 del Rapporto Ispra sui Rifiuti Speciali che registra un “significativo aumento” rispetto agli anni scorsi. Secondo gli esperti potrebbe essere l’effetto del dopo-pandemia, ma la serie storica segna, comunque, un picco: 165 milioni di tonnellate con un aumento rispetto all’anno precedente del 12% (18 milioni di tonnellate). Di questi, dieci milioni di tonnellate sono rifiuti pericolosi. L’andamento dei rifiuti non pericolosi è in crescita dal 2016 quando pesarono 134,9 milioni di tonnellate, in aumenti negli anni fino ai quasi 154 milioni nel 2019, prima della pandemia, per flettere nel 2020 a 147 milioni e tornare a 154,2 milioni nel 2021. Mentre i rifiuti pericolosi sono tendenzialmente stabili tra i 9 e 10 milioni di tonnellate l’anno. Quasi la metà del totale (47,7%) proviene dalle attività di costruzione e demolizione (78,7 milioni di tonnellate), settore che si conferma come il principale nella produzione totale di rifiuti speciali. Ma aumenta anche la percentuale di riciclo che, ormai, ha superato l’80%. Traguardo che oltrepassa abbondantemente il limite minimo fissato dalla normativa, nel 2020, che è il 70%. Il recupero riguarda prevalentemente la produzione di rilevati e sottofondi stradali.
Lontani dagli obiettivi di riduzione
Di rilievo quanto scritto a pagina 9 del Rapporto, secondo il quale sia per i rifiuti pericolosi che non pericolosi “nel periodo esaminato, la variazione del rapporto tra produzione di rifiuti per unità di PIL, rispetto ai valori registrati nel 2010, risulta positiva e in progressivo allontanamento dagli obiettivi fissati dal Programma di prevenzione”. Programma che stabiliva, obiettivi di prevenzione al 2020 rispetto ai valori registrati nel 2010, di riduzione del 5% della produzione di rifiuti urbani, riduzione del 10% di rifiuti speciali pericolosi e riduzione del 5% delle produzione di rifiuti speciali non pericolosi, tutti per unità di Pil.
Più rifiuti al Nord
In generale la gestione dei rifiuti speciali è attuata da oltre 10 mila impianti presenti in Italia (5.928 sono al Nord, 1.899 al Centro e 2.936 al Sud). Si recupera materia dal 72,1% degli speciali e solo il 5,7% del totale gestito prevede lo smaltimento in discarica (10,2 milioni di tonnellate). I rifiuti non pericolosi, che rappresentano il 93,5% del totale dei rifiuti prodotti, presentano un aumento di 17,1 milioni di tonnellate (+12,5%), quelli pericolosi di circa 820 mila tonnellate (+8,3%). Gli impianti dedicati al recupero di materia sono preponderanti, con 4.601 infrastrutture, costituendo il 42,7% della dotazione nazionale; seguono, con il 16,4%, gli impianti che effettuano esclusivamente lo stoccaggio dei rifiuti in attesa di recupero/smaltimento, corrispondenti a 1.766. Gli impianti di autodemolizione sono 1.430, costituendo il 13,3% del totale, e gli impianti produttivi, che effettuano il recupero di materia all’interno del ciclo industriale, risultano essere 1.209 (11,2%). La maggiore concentrazione di impianti risiede nelle regioni del Nord e in particolare in Lombardia (2.153), Veneto (1.073) e Piemonte (960); in queste regioni si concentra il 38,8% dell’impiantistica nazionale. Tra le regioni del Centro si distingue la Toscana (788) seguita dalla regione Marche (463). Nel Sud, si distinguono la Campania (784) e la Puglia (655).
Le regioni che producono più rifiuti speciali sono Lombardia (37,4 milioni di tonnellate), Veneto (18 milioni) ed Emilia Romagna (14,6 milioni). Al Centro la maggiore produzione è nel Lazio (10,2) e al Sud in Puglia (11,4).
Il rapporto fornisce anche i dati sui flussi di rifiuti che, per quantità o complessità, presentano le maggiori criticità gestionali: rifiuti contenenti amianto (-12,2% rispetto al 2020), veicoli fuori uso, “ancora lontani dall’obiettivo del recupero totale”, pneumatici fuori uso per i quali va “rafforzata la raccolta”, fanghi di depurazione delle acque reflue urbane, rifiuti sanitari “per i quali la normativa privilegia ancora lo smaltimento” e quindi l’Ispra suggerisce, indirettamente, di rivederla.
Più import che export
Inoltre dall’Italia sono esportati 3,9 milioni di tonnellate di rifiuti speciali, a fronte di una importazione di circa 7,4 milioni di tonnellate. I rifiuti esportati sono costituiti per il 64,3% da “rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito nonché dalla potabilizzazione dell’acqua e dalla sua preparazione per uso industriale” e per l’11,7% da “rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione”. I rifiuti importati sono, invece, costituiti essenzialmente da rifiuti metallici, circa 5,8 milioni di tonnellate (il 78,5% del totale), destinati principalmente alle acciaierie in Lombardia e in Friuli-Venezia Giulia. Nell’esportazione i maggiori quantitativi di rifiuti speciali sono destinati alla Germania (831 mila tonnellate – 21,3% del totale), seguono Austria, Ungheria, Francia, Spagna, Slovenia e Turchia (150 mila tonnellate). La Lombardia si conferma la regione che esporta le maggiori quantità di rifiuti: circa 1,2 milioni di tonnellate, costituite per il 50,6% da rifiuti non pericolosi. Nella direzione inversa, invece, maggior quantitativo proviene egualmente dalla Germania, circa 2 milioni di tonnellate, costituito quasi interamente da rifiuti non pericolosi. Seguita da Francia, Svizzera, Austria e Ungheria (571 tonnellate).
Legno, il settore più sostenibile
Infine, i settori produttivi che appaiono meglio posizionati sui binari della sostenibilità e decarbonizzazione e che, nel 2021, hanno utilizzato le maggiori quantità di rifiuti in sostituzione di combustibili convenzionali; sono quello del legno (28,2%), seguito dal settore della produzione di energia elettrica (24,3%), dalla raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti (15,3%), dal settore della produzione della calce/malta (13%) e da quello della produzione del cemento (9,6%). I settori produttivi che recuperano, invece, i maggiori quantitativi di rifiuti pericolosi sono il settore della fabbricazione di prodotti abrasivi e di altri prodotti in minerali non metalliferi (38,5%), della raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti (36%), il settore della produzione di cemento (12,4%) e il settore della fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche (3,4%).