mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Cronache marziane

Libertà nella rete e libertà dalla rete

Ieri Kurt il Marziano mi ha indicato diversi articoli della stampa quotidiana che segnalavano il curioso episodio della mail inviata alla Fondazione Einaudi da parte di You Tube, di cui riporto – testualmente – un estratto, prima di abbandonarmi a qualche elementare considerazione: “Il nostro Team ha esaminato i Tuoi contenuti e purtroppo riteniamo che violino le nostre norme sulla disinformazione in ambito medico”, perché “You Tube non ammette affermazioni relative ai vaccini per il COVID-19 che contraddicono il parere di esperti appartenenti ad autorità sanitarie locali o all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)”.

Le “affermazioni” cui quel Social Network si riferiva erano ascrivibili ad una lezione del compianto Professor Antonio Martino, già Ministro degli affari Esteri e della Difesa nei primi Governi Berlusconi, nella quale l’illustre Economista si era permesso di esprimere alcune perplessità (di carattere diverso da quello strettamente sanitario: è ovvio!) in ordine alle politiche vaccinali adottate al tempo della pandemia, che venivano, fra l’altro, a discostarsi dagli indirizzi della stessa Fondazione, che aveva  invece, a suo tempo, sostenuto l’utilità delle vaccinazioni di massa.

La questione che si vuole qui affrontare non è però di merito, ma di metodo, perché riguarda la gravità dell’abuso perpetrato in danno della Fondazione: quel video è stato infatti – almeno in parte – rimosso dallo spazio in uso alla Fondazione stessa, ma la sanzione irrogatale non è finita lì: perché Le è stato, contestualmente, comunicato che la Stessa non avrebbe potuto “eseguire azioni come caricare video, pubblicare post o effettuare live streaming per una settimana”.

Questo come primo “avvertimento” (sic!), perché “Se riceverai un secondo avvertimento non potrai caricare contenuti per due settimane. Se riceverai tre avvertimenti nell’arco di 90 giorni, il tuo canale verrà definitivamente rimosso da You Tube.”

Quanto accaduto sembra dunque la punta di un Iceberg, che colpisce la libertà di manifestazione del pensiero di coloro che utilizzano la rete per diffondere le proprie opinioni e se la FLE può permettersi di contrastare, anche solo diffondendolo, l’abuso perpetrato nei di Lei confronti, non altrettanto può dirsi a proposito degli altri milioni di utenti che aprono canali su uno qualunque dei pochissimi Social Network  raggiungibili attraverso Internet (visto che tutti i rispettivi gestori adottano politiche similari, probabilmente frutto di intese assunte in violazione dei più elementari principi di libera concorrenza: ricordate il caso dell’espulsione di Trump da Twitter a causa delle sue opinioni, giudicate politicamente non corrette?).

La presenza di quell’Iceberg, nelle acque della libertà di manifestazione del pensiero, ci porta a ritenere che sia stato costruito – ad insaputa dei legittimi titolari del potere pubblico – un sistema di piattaforme solo in apparenza a disposizione dei cittadini, ma rispetto al quale questi ultimi subiscono gli effetti di una posizione dominante collettiva non molto dissimile da quella che, nel Medio Evo, subivano i Valvassori rispetto ai Vassalli e Questi ultimi nei confronti degli  Imperatori: un sistema piramidale e scalare che solo le rivoluzioni liberali riuscirono a rovesciare, almeno così avevamo creduto fino all’avvento “della rete infinita il cui centro è ovunque e la frontiera in nessun luogo” (così Belli L., in Frosini T. ed Al., Diritti e libertà in Internet, Firenze, 2017, 162): Internet, dunque, come il nuovo Imperatore da rinchiudere nella Bastiglia!

Le piattaforme social detengono infatti il potere di decidere quali contenuti possono essere pubblicati e quali no, attraverso proprie politiche di moderazione dei contenuti stessi e dei termini di servizio; addirittura pretendono di stabilire i limiti di coloritura del linguaggio e, di questo passo, potrebbero giungere a cancellare parole come “malagiustizia”, per non offendere l’indipendenza di giudici che non conoscono i limiti del proprio potere, o “malasanità, per evitare che il mercato della salute sia scosso dalle lamentazioni di chi ha subito lesioni permanenti per incuria di medici o di gestori di un ospedale.

Questo potere di censura delle piattaforme social può dunque essere liberamente utilizzato per comprimere la libertà di espressione e di opinione anche in barba alle garanzie costituzionali su cui si fondano gli Stati liberali: ne può dunque derivare un vulnus ai diritti umani fondamentali (Privacy, non discriminazione, ecc.) in nome di un ordine mondiale che potrebbe giungere a ridefinire il sistema degli interessi pubblici al di fuori di ogni controllo delle assemblee legislative, che verrebbero così svuotate delle loro funzioni fondamentali: esattamente come avveniva prima che tali organismi collegiali fossero individuati come primo strumento attuativo della volontà delle nazioni.

La questione diventa allora la seguente: come regolare la potestà sanzionatoria dei giganti della rete per proteggere la libertà di manifestazione del pensiero (e anche altre libertà) degli utenti che si connettono e interagiscono attraverso i Social Network?

La risposta è persino banale: questo obiettivo può essere perseguito innanzitutto attraverso l’uso della potestà regolatoria delle pubbliche autorità; quest’ultima potestà è propria degli ordinamenti statali e superstatali, che hanno come necessario presupposto la territorialità degli spazi entro cui la potestà medesima può esercitarsi: ma cosa accade quando il territorio non è più identificabile come elemento necessario per esercitarla?

 La domanda è tutt’altro che retorica, visto che il problema si era già posto a proposito della fiscalità cui assoggettare le multinazionali della comunicazione che operano in Internet e tutti sappiamo come questo problema sia ancora ben lungi dall’esser risolto in modo soddisfacente e definitivo (anche perché la massa di danaro che ciascun Social Network muove è tale che non è difficile ai suoi padroni accordarsi con l’amministrazione finanziaria di ogni Paese, pur di continuare a fare i loro comodi), in questo caso, però, la posta è più alta, perché tocca l’essenza stessa delle libertà garantite dalla Costituzione su cui si regge ciascun ordinamento che abbia la pretesa di definirsi “democratico”.

Occorrerà allora iniziare a risolvere tale problema, adottando politiche regolatorie in assenza delle quali “un sistema di libera espressione è difficilmente immaginabile”, ove non si fondi sul potere concessorio inteso come trasferimento dell’uso di un bene immateriale di proprietà necessaria  dello Stato  che lo concede, “i diritti di proprietà, quando vengono concepiti per legge, sono la quintessenza della regolazione pubblica” (v. Sustain C.R., #Republic: Divided Democracy in the Age of Social Media, Princeton, 2017; It., Bologna, 2018, 224 e ss.).

Almeno per quel che riguarda l’Italia, si conferisca dunque alla nostra Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni la regolazione di ogni attività compiuta dai gestori di Social Network, intesi alla stregua di ogni altro titolare di concessioni traslative, anche ove la relativa traslazione sia riferibile alle reti utilizzate, sul nostro territorio, per quelli comunemente indicati come servizi Internet.

Questo modo, brutale, di risolvere le questioni di cui ci occupiamo stavolta troverà sicuramente degli oppositori in quei giuristi che ricercano approcci meno tradizionali alle problematiche nascenti dal progressivo superamento della dialettica fra autorità e libertà.

Inizieranno a contrastarlo coloro che non vedono più, negli ordinamenti originari (statali o superstatali che siano), le fonti esclusive  della produzione di strumenti giuridici idonei a regolare le condotte degli attributari di potestà diverse da quelle tradizionalmente intese alla stregua di ogni  altro pubblico potere; seguiranno i propugnatori della negazione stessa del concetto di concessione, perché equiparabile – a loro avviso – ad una  mera autorizzazione, pur rafforzata dalla presenza della traslazione di beni o servizi pubblici.

 Tuttavia – almeno nel breve periodo – non sembra realistico ricercare tutele più efficaci di quella offerta dal tradizionale strumento della concessione.

Né si può dimenticare come il modello medievale, cui sembra attualmente ispirarsi il rapporto fra gestori di Social Network e loro utenti, sia nato ben prima del sorgere degli Stati nazionali e delle loro successive aggregazioni: oggi si deve perciò semplicemente prender atto delle esigenze di tutela che scaturiscono da questo non prevedibile ritorno all’età di mezzo, a causa della velocità raggiunta dal  progresso tecnonologico.

Il Parlamento italiano abbia dunque il coraggio di affrontare finalmente il problema nei termini appena descritti, visto che – almeno fino ad oggi – non sembra averlo ritenuto meritevole di speciale attenzione.

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