giovedì, 18 Aprile, 2024
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La ripresa ha bisogno della fiducia di cittadini e imprese

Le prospettive di crescita  per il 2022,  le condizioni necessarie affinché, nonostante la risalita dell’inflazione e l’aumento dei costi dell’ energia, l’economia possa svilupparsi, anche tenendo conto dei necessari cambiamenti imposti dalla transizione ecologica. Sono i temi su cui abbiamo intervistato il prof. Ubaldo Livolsi, banchiere ed advisor, esperto internazionale di mercati finanziari.

Prof. Livolsi, nel quarto trimestre 2021 l’economia italiana ha registrato una crescita del 6,4% su base annua, lo comunica l’Istat nella sua stima flash, che risulta superiore a gran parte delle previsioni e indica un’espansione sia nell’industria che nei servizi. Guardando la realtà, però, si vede tutt’altro, le aziende chiudono, disoccupazione ai massimi, difficoltà nel commercio. Come spiega questa realtà distopica?
Il Paese sicuramente cresce, ma i dati vanno interpretati alla luce della emergenza sanitaria, il che può evidenziare situazioni anomale e far emergere aspetti distopici. Nel quarto trimestre del 2021 l’Istat stima che il Pil sia aumentato dello 0,6% rispetto al trimestre precedente e, come da lei ricordato, del 6,4% rispetto allo stesso trimestre del 2020. I dati dell’Italia sono sensibilmente migliori rispetto a quelli dell’intera area euro, previsti da Eurostat rispettivamente allo 0,3% sul trimestre precedente e al 4,6% sullo stesso trimestre del 2021.  Il recupero è stato trascinato da alcuni settori, che hanno fatto bene anche nell’export. Secondo l’Istat, dal lato della produzione, il risultato italiano è stato realizzato grazie alla crescita del valore aggiunto nei comparti dell’industria e dei servizi, in particolare in quelli ad alto valore aggiunto e con una maggiore propensione all’innovazione e all’internazionalizzazione, mentre è diminuito in altri che lo sono meno, come agricoltura, silvicoltura e pesca.

Ambiti particolarmente colpiti sono stati quelli della ristorazione e del turismo, che in alcuni casi pagano, oltre che gli effetti dei lockdown e delle restrizioni, un certo ritardo gestionale e di strategia, così da subire esiti negativi sulla occupazione. Dal lato della domanda, vi è stato invece un apporto positivo della componente interna. In sostanza il quarto trimestre permette di chiudere il 2021 con una crescita annua del 6,5%, che recupera buona parte della caduta dell’8,9% del 2020. Vi è infine una crescita acquisita per il 2022 pari al 2,4%. Dunque, il nostro Pil aumenterà anche nell’anno in corso. Non dimentichiamo, inoltre, che la pandemia ha fatto incrementare la propensione al risparmio dei privati e delle aziende, con parte di questo denaro che potrebbe essere messo in circolo nell’economia, anche se pesa il costo dell’energia, malgrado lo Stato abbia stanziato finora 10,2 miliardi di euro per mitigare i rialzi di elettricità e gas.

Bisognerà poi vedere le conseguenze di quanto annunciato dalla presidente della Bce Christine Legarde, che nel secondo semestre dell’anno ridurrà il quantitative easing, facendo così alzare il costo del danaro, decisione presa – e che approvo – sulla base della convinzione che siamo in presenza di un’inflazione non legata al calo dei consumi, ma da un lato alla diminuzione della produzione mondiali in alcuni ambiti – penso ai microchip essenziali in tantissimi manufatti, dalle auto agli elettrodomestici – dall’altro all’aumento del costo dell’energia.

Secondo Lei ci sono proposte per risolvere il problema?
La situazione, come detto, è (sembra apparentemente) gestibile. Sicuramente ci sono le incognite del caro energia e dell’aumento dell’inflazione. Secondo l’Istat a gennaio i prezzi al consumo hanno registrato un aumento su base mensile dell’1,6% e una crescita del 4,8% su base annua, dal +3,9% del mese precedente. Il dato è influenzato dai beni energetici, la cui crescita passa dal 29,1% al 38,6%, con la componente regolamentata che balza dal 41,9% al 93,5%. Tuttavia, l’inflazione di fondo – al netto degli energetici e degli alimentari freschi – rimane stabile all’1,5%, mentre quella al netto dei soli bisogni energetici passa dall’1,6% all’1,8%.

Fatta questa premessa, il nostro Paese deve continuare – a maggior ragione ora che a capo dello Stato e del Governo sono rimasti Sergio Mattarella e Mario Draghi – coi due obiettivi che hanno finora guidato l’azione di questo Esecutivo: portare il Paese fuori dalla pandemia e assecondare il Pnrr, che è la declinazione di Next Generation EU, che ha stanziato ben 750, miliardi di euro per la ripresa europea, di cui oltre 191 miliardi destinati all’Italia. In un certo senso, la strada è già tracciata.

Circa il primo punto, l’uscita dalla pandemia, in questi giorni i dati di contagi e occupazioni degli ospedali sono in calo, le restrizioni allentate e il Governo sembra orientato a decretare lo fine dello stato di emergenza il 31 marzo. Per quanto riguarda il Pnrr, l’obiettivo della sostenibilità, declinato con quello dell’innovazione e delle nuove tecnologie, servirà a rendere più moderno ed efficiente il Paese, con conseguenze positive sulla pubblica amministrazione e la giustizia. Così, da un lato la nostra produzione, già apprezzata nel mondo per le sue eccellenze, sarà ancora più competitiva, dall’altro, gli investitori stranieri verranno in Italia per sviluppare attività sia produttive che commerciali.

Come vede il futuro? Pro e contro?
In questa nostra intervista ho finora sostenuto che i fondamentali per una giusta ripresa ci sono. Tuttavia, in presenza di un grande cambiamento, c’è anche il rischio che alcuni ambiti restino indietro. Questo non avviene però se tutti fanno la loro parte, se c’è una capacità della politica e delle parti sociali di trovare la soluzione per il bene comune. È importante soprattutto che la politica faccia il suo dovere, superando i tornaconti personali del partirti, guardando non solo al domani del Paese, ma anche al bene delle future generazioni. Anche i lavoratori devo essere consapevoli che si devono adeguare al cambiamento. Esemplare è il recente caso dello stabilimento Bosch di Bari, focalizzato nei motori endotermici, che ha annunciato 700 esuberi nei prossimi cinque anni su un organico di 1.700. Si tratta della prima crisi causata dal passaggio all’auto elettrica, la prima situazione che richiede la riconversione industriali da finanziare coi fondi del Pnrr.

Il cambiamento del mondo del lavoro non riguarda solo l’industria, ma anche altri settori. Pensiamo allo smart working, modalità imposta dalla pandemia, da cui per certi versi non si potrà tornare indietro, ma senza che ciò vada a compromettere la produttività. Anche su questa questione, politica e sindacati devono trovare un accordo. Per concludere, anche in riferimento alle domande precedenti, sarà fondamentale il tema della comunicazione e della capacità di creare fiducia nei cittadini e nelle imprese nazionali da parte del Governo – e devo dire che su questo aspetto l’elezione del Capo dello Stato ha distratto molto e fatto calare l’attenzione – che dovranno tornare a investire e a credere nel futuro e nel nostro Paese.

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