venerdì, 26 Aprile, 2024
Politica

Il reality della politica

Quando la sera andiamo a letto, dopo una giornata vissuta nella cronaca e per la cronaca politica, ci girano ancora per la testa i nomi: Salvini, Di Maio, Zingaretti, Conte, Gelmini, Toti, Berlusconi… e tutta un’altra pletora di cognomi che, affannati, ci rincorrono perché vorrebbero farsi identificare ed avere uno spazio nel pezzo di domani mattina. Sento molti colleghi che parlando di politica, parlano di capacità di comunicazione e di capacità di utilizzo dei media.

Non si tratta di saper comunicare o saper usare il mezzo ma di sapere cosa dire. E cosa devi dire ti deve venire dalla testa. Non è che Salvini sappia usare solo i mezzi, è che sa anche cosa dire alla gente, anzi, in questo momento non parla più neppure alla gente, ora sta vivendo un soliloquio con sé stesso e che per non perdere il filo lo posta immediatamente. Se radio, televisione e social parlano di Salvini è Salvini che cresce nei sondaggi. Elementare Watson.

Siamo entrati, con questo governo gialloverde in un super politic-reality e siamo costretti a seguire le puntate giorno per giorno, ora per ora, pensando solo a capire chi sarà escluso e chi rimarrà nella casa. Cronisti, opinionisti, direttori di ogni testata affollano tutti gli spazi di comunicazione che parlano di affari politici. Le opinioni si contrastano, si accavallano, si inseguono, però parlano tutti bene, peccato che in quasi tutti ci sia il retropensiero di fondo: esserci. Se ci sei, nel reality, esisti, altrimenti non esisti.

Stiamo vivendo una permanente weblife, che sia da protagonisti o da spettatori non conta più. Ci siamo anche se siamo solo lì ad ascoltare sul divano o sulla poltrona dirigenziale della nostra redazione. Certo, non abbiamo in mano né il ghiacciolo arcobaleno né il cremino alla banana… quanto tempo è passato da allora. Il ghiacciolo arcobaleno era solo appena appena dolce, fresco, ma lo prendevamo perché faceva novità ed iniziava ad avanzare il culto del salutismo, invece il cremino alla banana, lungo, col suo stecchino infilzato da sotto, aveva un sapore intenso, corposo, buono, mamma mia quant’era buono, anche se a mangiarlo dovevamo sbrigarci perché altrimenti si piegava, si rompeva, e cadeva a terra o sul tavolo.

Ma lasciamo stare i ricordi passati dei nostri primi articoli da praticanti. Pensiamo ad oggi, ad ora, è oggi che conta, anche se siamo consapevoli che non esiste più la “cronaca di oggi”: esiste la cronaca perpetua. Se non sei connesso perpetuamente sei fuori. Tra i comunicatori, i poveri, sono i non connessi, quelli che pensano di fare filosofia o pensiero profondo rifacendosi alla cultura e facendo citazioni. Devi stare sulla notizia, amico mio, e dire se pensi che il governo cada e fra quante ore, fra quanti giorni o mesi. Il cellulare dal quale scrivi i tuoi post-pensieri per il giornale è ormai diventata una protesi della tua mano. Se ti accorgi di non avere il telefonino intorno a te sei smarrito: non esisti.

Intanto, invece, noi vecchi cronisti abituati alla riflessione, all’analisi, ai conteggi delle maggioranze possibili e ai franchi tiratori, senza trascurare mai la “strada”, andiamo comunque in galleria Colonna (scusate, ora si chiama galleria Sordi) e, guardandoci, senza parlare riusciamo a capire che stiamo pensando tutti la stessa cosa: qualcosa di pericoloso sta caricando il fuoco del vulcano. Quando esploderà? Speriamo mai ma abbiamo un brutto presentimento. Vorremmo scrivere ancora articoli profondi, con tratti di poesia, e che possano essere letti dai politici di ogni colore, ma, loro, leggono solo i post. Vorremmo dirgli di fermarsi, prima che l’eruzione di popolo li travolga tutti. Occorre fermarsi prima di una nuova Pompei.

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