venerdì, 26 Aprile, 2024
Il silenzio delle parole

Le parole nate in trincea

A Torino, mia città d’adozione, appresi il significato reale dell’espressione piemontese: “bogia nen!”.
Scoprii che essa racchiudeva un messaggio guerresco, ben oltre il significato lessicale.

Nella letteratura sul Piemonte e sui piemontesi, quelle due parole hanno assunto comunemente nel tempo la descrizione del carattere contadino, testardo e risoluto della gente, poi confuso con una presunta passività, prevalendo il significato di prudenza, stanzialità, assenza di iniziativa.

Si tratta di un luogo comune senza fondamento alcuno, sono d’altronde note in Italia e nel mondo le capacità tenaci dei piemontesi e la loro marcata tensione al cambiamento, se e in quanto solido e ragionato.

L’espressione divenuta famosa sembra dunque abbia altra radice, addirittura di natura guerresca.

“Bogia nen!”, comandavano gli ufficiali dell’esercito sabaudo ai fanti, intendendo così indicare la posizione da tenere in trincea, in battaglia. Era il modo di significare “Non indietreggiate! Non muovetevi!”, “Morite se necessario nel tenere la linea ma non indietreggiate. Difesa della Patria ad ogni costo!”.

L’accreditamento di quella espressione sembra abbia avuto origine durante la battaglia dell’Assietta, combattuta contro i Francesi. Era il 19 luglio 1747 e il Comandante Giovanni Battista Cacherano di Bricherasio, secondo aneddotica del tempo, esclamò la celebre frase affidandola ad un ufficiale di collegamento, da cui probabilmente originò il significato: «Dite a Turin che da sì nojàutri i bogioma nen!». Il presente libro sarà letto anche in Sicilia ma se “bogia nen” significa quel che ho detto, il senso di cosa intendesse il Comandante è evidente: nient’altro che una declinazione dell’eroe assurdo di camusiana memoria (come è noto ai miei lettori, Albert Camus è assiduo frequentatore di queste pagine di narrativa): quella posizione affidata a quegli uomini in trincea dal destino imponeva un imperativo: la difesa ad ogni costo del suol patrio. Due gli inevitabili esiti: la vittoria o la morte.

Ma è assurdo difendere le proprie famiglie, i figli, le donne, le case, le città?

Più verosimilmente è assurda la necessità di difesa.

Regimi differenti, epoche diverse. La medesima logica militare si manifesta durante la battaglia di Stalingrado. La fanteria russa, penalizzata da una grande carenza d’armi, avanzava contro gli invasori tedeschi. Il fronte nemico era ben nutrito e ben armato di tutto.

I comandi russi trovarono uno stratagemma per colmare quel divario, la soluzione al dilemma bellico. Il fronte andava tenuto a ogni costo, e questa fu la risposta: «Gli uomini di prima linea, dotati di baionette, devono attaccare il nemico seguiti dal reggimento compatto ma privo d’armi!».

L’ordine impartito ai militi era secco e sapeva di morte: seguire i compagni di prima linea, attendere la caduta per ferimento o morte di ognuno, raccoglierne l’arma, avanzare ancora e comunque, fino alla vittoria finale! Le retrovie avrebbero continuato a mantenere la linea antistante con quella logica d’attacco, disobbedire arretrando sarebbe stata morte certa, gli ufficiali avrebbero sparato alla testa dei disertori.

Vincere o morire! E chissà come gli ufficiali russi, stiamo ancora parlando degli ufficiali dell’Armata Rossa che scofisse il Nazifascismo, dicevano bogia nen!  2022/23 tocca all’Ucraina la scelta  delle parole giuste!

   (Testo rivisitato e ridotto, tratto dal libro Un sogno diverso, dell’autore).

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