venerdì, 19 Aprile, 2024
Attualità

Mediterraneo, i venti di guerra che lambiscono l’Italia. Il Paese in bilico tra alleanze militari e scambi commerciali

“Terza guerra mondiale”, allarme per i soldati italiani in Medio Oriente, ripercussioni gravi sulla nostra economia già in affanno, una crisi umanitaria che porterebbe la fuga di centinaia di migliaia di persone verso l’Italia. Per il nostro Paese è allerta generale su molti campi e tutti estremamente delicati, addirittura, pericolosi: siamo in bilico tra il rispetto delle alleanze militari a quello dei patti economici, in conflitto sul futuro delle risorse energetiche per noi vitali – dal momento che abbiamo il blocco della produzione nazionale – fino alla crisi umanitaria che si potrebbe scatenare verso l’Italia dalle popolazione coinvolte nei conflitti. I fatti per gravità e rischio sono noti, inoltre si sono susseguiti con molta rapidità e in pochi giorni: in Iraq c’è stata l’occupazione dell’ambasciata USA, per risposta il presidente Americano Trump ha dato il via libera ad un blitz che ha determinato l’uccisione del generale iraniano Soleimani, – massimo esponente della nomenclatura militare Iraniana – mentre per risposta il Parlamento Iracheno, (Paese dove è avvenuto il blitz anti Soleimani), ha deciso di “cacciare” le truppe Usa dal Paese, mentre l’Iran con con le guide religiose e una folla straripante, giura vendetta per l’uccisione del suo generale.

Le novità dell’ultima ora, sono ancora più preoccupanti: l’Iran che annuncia di essere pronto a dar seguito al suo programma nucleare “senza limiti”, mentre in Libia l’esercito del generale Haftar è prossimo, o almeno tra una altalena di notizie, alla conquista di Tripoli, con tutto ciò che ne consegue per l’Italia. Per molti analisti siamo ad un passo da situazioni “irreversibili” che infiammano il Medio Oriente, con Teheran che annuncia vendetta, portandosi dietro gli alleati dell’area, nemici di Washington e dei suoi alleati, come i palestinesi di Hamas e i libanesi di Hezbollah. Uno scenario minaccioso che apre strade a più conflitti, ad atti di terrorismo, una crisi del petrolio con un balzo del prezzo del barile. In Italia la situazione viene seguita con la massima apprensione e in modo propositivo: Papa Francesco invoca il dialogo, il Vaticano che sollecita l’apertura di un negoziato di pace; mentre il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in un’intervista a ‘la Repubblica’, annuncia che si è fatto promotore di un’azione europea per richiamare tutti a “moderazione e responsabilità”. “Ho sentito il Presidente iracheno Salih”, riferisce Conte, che ha tenuto nelle ultime ore colloqui con diversi esponenti Ue e con la Cancelliera Tedesca, Merkel e “continuerò a mantenere in queste ore i contatti con tutti i principali leader”. In una nota di Palazzo Chigi il premier si spinge più avanti nel cercare una via al dialogo.

“Su entrambi gli scenari”, sottolinea, “è stata confermata l’esigenza di uno stretto raccordo europeo e di un costante coordinamento sia a livello di Ministri, sia di Capi di Stato e di Governo”.

“Sulla Libia”, puntualizza la nota del presidente, “è stata ribadita la necessità di elevare al massimo la pressione diplomatica per promuovere quella soluzione politica che si vorrebbe affrontare nel corso della programmata Conferenza di Berlino. Su Iraq/Iran è stata condivisa l’importanza di mantenere il necessario impegno a favore della stabilizzazione della Regione e del contrasto al terrorismo, nel rispetto della sovranità irachena”. Sforzi che rischiano, tuttavia, di cadere nel vuoto. Dall’America, infatti, arriva la notizia che il presidente Donald Trump ha minacciato pesanti sanzioni contro l’Iraq dopo che il Parlamento di Baghdad ha approvato una risoluzione nella quale si chiede “l’uscita dal Paese di tutte le truppe straniere presenti”. Un posizione che gli USA hanno immediatamente rigettato. Come se non bastasse, un altro fronte militare vicino casa nostra, è prossimo allo scontro. Il Parlamento Turco ha approvato l’invio delle truppe in Libia con una serie di accordi militari e commerciali tra cui lo sfruttamento di alcuni giacimenti di petrolio.

L’esercito del presidente Turco Erdogan, andrà a supportare il Governo di accordo nazionale di Fayez al Serraj, del quale diano alleati, da mesi impegnato in una guerra civile contro i ribelli del generale Khalifa Haftar. Milizie che in queste ore avanzano conquistando punti chiave come la città di Sirte e potrebbe muovere un attacco per la conquista della capitale Tripoli e quindi innescare una guerra verso cui non possiamo far finta di nulla. Una mossa che determinerebbe una escalation militare e un bagno di sangue tra civili.

I venti di una temibile “Terza Guerra Mondiale”, come viene indicata da analisti militari ed economici, stanno, quindi, soffiando sempre più forti e per l’Italia i rischi di un coinvolgimento in un conflitto sono realistici. Siamo al centro di numerose e complesse implicazioni politiche, geografiche, strategiche sia per le relazioni militari con un alleato come gli USA, sia per gli sviluppi commerciali con paesi come Turchia e Iran tra i nostri primi partner economici. Sul nostro territorio inoltre c’è la presenza di basi di Usa che saranno utilizzate per missioni. Mentre in Medio Oriente in aree strategiche e ora ad alto rischio come Iraq, Libano e Kuwait, ci sono oltre 900 militari italiani in missione di pace, che sono i più esposti a possibili attacchi e ritorsioni anti Usa e anti occidentali. Il ruolo dell’Italia diverrebbe significativo dal punto di vista logistico, per il passaggio di jet militari, il loro rifornimento, mentre la base Usa di Aviano avrà un ruolo strategico per le operazioni militari decise da Washington, mentre in coinvolgimento più diretto potrebbe essere chiesto all’unità di assalto della 163esima Brigata di Vicenza, più volte presente nelle operazioni militari USA in Medio Oriente. Inoltre per l’Italia, crocevia strategico del Mediterraneo, rimane una priorità seguite la complessa partita militare innescata in Libia. Dopo l’approvazione dell’intervento militare turco lo scontro diretto tra truppe è dietro l’angolo.

L’Italia rischia su diversi fronti se l’escalation libica esplode in una vera e propria guerra salterebbe anche la nostra posizione di neutralità e l’appoggio al Governo di al Serraj – l’unico riconosciuto a livello internazionale, anche se non in modo unanime – dovrebbe essere fattivo con un sostegno militare. In ballo ci sono molti interessi in gioco, non solo quello militare, ma in Libia ci sono quelli di natura energetica con l’Eni esposta in primo piano. Non da sottovalutare infine il problema serissimo, con tutti i suoi risvolti politici, di una immigrazione di massa verso l’Italia. Lo scoppio di un conflitto allargato a potenze internazionali farebbe precipitare l’emergenza sfollati a dimensioni di esodo biblico.

Il tempo stringe e la macchina diplomatica si è messa in moto, servirà molta determinazione per riportate la parola pace come priorità. Per l’Italia si annunciano tempi delicati, e stando ai presupposti, anche molto rischiosi.

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