La povertà non è stata ancora abolita, come avevano incautamente annunciato da un balcone di Palazzo Chigi alcuni esponente del Movimento 5 Stelle. Anzi, complice assoluto la pandemia, è aumentata.
Lo conferma l’ISTAT, che ha rilevato come nel 2020 ben due milioni di famiglie, 330 mila in più di quelle accertate l’anno precedente, non sia stato in grado di affrontare spese essenziali per sopravvivere, come l’affitto, il cibo, il riscaldamento, gli indumenti.
Presi individualmente i poveri sono 5,6 milioni, fra i quali spicca il numero dei minori, 1,3 milioni i ragazzi condannati, in mancanza di fatti nuovi, a una vita avara di soddisfazioni.
Frugando fra i numeri di questa analisi della povertà, emerge per la prima volta una particolare area di sofferenza al Nord, che riguarda non solo italiani ma anche e di più lavoratori stranieri, mentre il Sud conferma l’esistenza di una vasta area di povertà, pari al 9,4 % delle famiglie contro il 7,6% del Settentrione.
È, a tirare le somme, una condizione alla lunga inaccettabile, i cui effetti dirompenti, in termini di lacerazione sociale e di costi umani, sono stati parzialmente contenuti dalle reti assistenziali della Chiesa, a cominciare dalle Caritas, dei sussidi del Governo e infine, dal reddito di cittadinanza.
Proprio quest’ultimo ha mancato almeno in parte gli obbiettivi che i suoi promotori si proponevano: non è riuscito a dare un reddito a tanti che sono poveri ed emarginati, mentre sono venute alla luce abusi e anse di una deplorevole tendenza a privilegiare l’acquisizione del reddito alla ricerca di un lavoro.