sabato, 20 Aprile, 2024
Il Cittadino

Processo civile: la riforma (im)possibile

Sul fronte Covid nulla di nuovo. I miei quaranta lettori – che vivamente ringrazio per la fedeltà alla rubrica – ricorderanno come mesi fa, in tempi non sospetti, avevo ipotizzato essere «più probabile che non» che nelle feste di Natale saremmo stati rimessi agli arresti domiciliari. Previsione facile dirà qualcuno, pensando ai tristi Arcuri, Boccia e Speranza (in ordine rigorosamente alfabetico).

Archivio, quindi, prima ancora di viverlo, il malinconico Natale 2020.

Torno così ad un’altra riflessione sulle riforme che potrebbero essere attuate in base alle mutate modalità ed esperienze imposteci dal Covid.

Parlo questa volta del mio pane quotidiano, il processo civile.

Cioè di quel settore del sistema giudiziario che – in un generale malfunzionamento al quale si sottrae (forse) soltanto la giustizia amministrativa – determina un palese freno agli investimenti esteri e tali danni all’economia da far dire, in un webinar di fine novembre dell’Università di Tor Vergata, che «la riforma della giustizia è la più importante delle misure di politica industriale in Italia».

Un processo che con la sua esasperante lentezza (2.949 giorni la durata media per i tre gradi del giudizio: 8 anni!) e con la pendenza di 3,4 milioni di procedimenti (quattro volte più della Germania) non offre nessuna risposta efficace alla domanda di giustizia.

Le modalità operative delle udienze – svolte durante l’emergenza Covid per iscritto, con istanze depositate alcuni giorni prima – sembravano dare ragione ad un mio vecchio cavallo di battaglia, basato sulla considerazione che durante un processo civile fossero necessari due soli interventi del giudice; e senza necessità di fissare una udienza.

Mi spiego, per i non adepti.

Il giudice, nel processo civile, nella quasi totalità delle udienze, compie solo un’attività di programmazione: spesso un’udienza serve solamente per fissarne un’altra, magari a distanza di molti mesi o di anni, e passare così ad un’altra fase del processo. È un fatto che nelle maggior parte delle udienze, stante una loro sostanziale inutilità, gli avvocati che possono permetterselo, delegano un “sostituto”: riservando alla reale attività di difesa gli scritti difensivi, le così dette “memorie”.

Così che, ho sempre pensato, basterebbero uno o due incontri col giudice (testimonianze e consulenze tecniche a parte) anche per il più complicato dei processi. Per il resto il giudice potrebbe regolare il processo (ammissione di prove, autorizzazione di memorie) con decreti emessi dal suo ufficio.

Servirebbe una sola decisiva udienza di discussione e la causa potrebbe così concludersi  entro sei mesi. Di meno in appello dove, non essendo ammissibili di norma nuove prove, dopo la costituzione delle parti si potrebbe direttamente fissare l’udienza per la decisione.

L’esperienza Covid-19, quasi attuando con le udienze per iscritto la mia ideale “riforma”, mi ha fatto capire che non avevo considerato la reale funzione delle udienze: che nella realtà servono soltanto a scandire il momento in cui il giudice è tenuto ad occuparsi della questione ed in cui le parti, tramite i loro difensori, sollecitano il passaggio alla successiva fase del giudizio.

Il mio sistema ideale, senza la fissazione di “udienze”, non potrebbe funzionare con l’attuale organizzazione del lavoro; e senza che fosse assunto un assistente personale per ogni giudice. Ciò che significherebbe fornire anche ad ogni magistrato un ufficio e magari richiedere un differente metodo di lavoro: più simile all’organizzazione di un efficiente e agile ufficio privato, che di un ufficio pubblico.

Utopia la mia. Ma anche rimanere col processo civile che abbiamo oggi è un lusso economico, che non possiamo permetterci e che non risponde all’esigenza di giustizia. Lo Stato che non sa regolare una lite di condominio, non sa neppure regolare le questioni più gravi a cui deve assolvere.

Occorre però fare una riforma reale e moderna, senza cercare alibi, solitamente trovati nell’addossare agli avvocati responsabilità che non hanno e volontà di “rinvio”: ciò che forse aveva un senso ed una utilità in un sistema economico e sociale arcaico, mutato e superato da almeno un ventennio.

La riforma del processo civile è necessaria e deve essere radicale.

Oggi gli Studi legali – la parte privata della Giustizia – marciano al ritmo del 2020, dialogano col mondo, parlano lingue diverse, sono pronti alle emergenze.

La parte pubblica della Giustizia, sembra essere rimasta al palo: nonostante lodevoli individualità. Ma potrebbe mutare radicalmente se ci sarà la volontà politica e se si  sapranno superare resistenze corporative: specie in materia di responsabilità e carriera.

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