venerdì, 29 Marzo, 2024
Attualità

Una Pandemia che mette a dura prova il Sud

Il 18 settembre scorso l’Eurostat, l’Ufficio statistico dell’Unione Europea, nel suo Rapporto annuale, ha messo nero su bianco una triste verità che, da tempo, già sapevamo. E cioè che le regioni più esposte al rischio povertà in Europa sono la Campania, la Sicilia e la Calabria. Una mortificazione per l’Italia, ma ancor più per il Mezzogiorno. Nello studio sono riportate le statistiche riguardanti le persone a rischio povertà ed esclusione sociale. Al primo posto di questa classifica, che parte dal 2018, figura la Campania con il 41,4% di persone a rischio di povertà a fronte di una media europea del 16,8%. Segue poi la Sicilia con il 40,7%. E infine la Calabria, all’ottavo posto, con il 32,1%.

Queste informazioni sono molto importanti per quantificare l’impatto che eventuali decisioni politiche possono provocare in un determinato contesto territoriale o regionale. Ogni capitolo in cui è suddiviso il Rapporto presenta informazioni statistiche sotto forma di mappe, figure e infografiche, accompagnate da un’analisi descrittiva che evidenzia i principali risultati. Gli indicatori regionali si riferiscono a 13 materie e precisamente: popolazione, salute, istruzione, mercato del lavoro, condizioni di vita, economia, imprese, ricerca e innovazione, società digitale, turismo, trasporti, ambiente e agricoltura. Per quanto riguarda la povertà, il Rapporto ne evidenzia due tipi: la povertà relativa, quella che si riferisce a situazioni dove il reddito delle persone è talmente esiguo da non consentire una vita basata su standard normali. E la povertà assoluta, quella che priva gli esseri umani delle sue esigenze essenziali, come il cibo, l’acqua, l’educazione, la sanità. Accanto a queste due ce n’è una terza. Ed è quella che coinvolge persone a rischio povertà o esclusione sociale e viene calcolata sulla base di tre criteri fondamentali. Il primo è il reddito. Il secondo prende in considerazione alcuni mezzi materiali necessari per avere una qualità di vita adeguata. Il terzo fa riferimento all’intensità di lavoro all’interno di un nucleo familiare. Sono considerati nella soglia di esclusione sociale coloro che hanno lavorato meno del 20% del loro tempo negli ultimi dodici mesi. Di fronte a queste cifre e in presenza di questi scenari, cosa dovremmo fare? Rassegnarci e continuare come se nulla fosse? Vorrei far notare che queste nostre tre Regioni, prime in Europa a rischio povertà, sono le stesse dove la mafia, la ‘ndrangheta e la camorra hanno sempre avuto campo libero nella gestione degli appalti, negli ingranaggi corruttivi della burocrazia, nel caporalato e soprattutto nel “mare magnum” del lavoro nero. Tutte queste forme d’illegalità rischiano di moltiplicarsi con la crisi sociale che, nella post pandemia, inevitabilmente investirà il Mezzogiorno. Misure di sostegno forti come il piano di rinascita messo in campo dall’Europa saranno efficaci solo se si avvierà nelle Regioni meridionali un grande cantiere per la ricostruzione economica, civile e culturale. Esattamente come avvenne negli anni cinquanta, con gli aiuti del Piano Marshall e il massiccio piano di opere pubbliche realizzato dalla Cassa per il Mezzogiorno. Ma il fattore che determinò il successo di quella fase storica va ricercato non tanto nella quantità delle risorse finanziarie, quanto soprattutto nella professionalità, nella competenza e nell’etica del servizio che contraddistinse tutta la macchina burocratica del secondo dopoguerra. I Prefetti, I Provveditori alle Opere Pubbliche, I Direttori del Genio Civile, I Sovrintendenti alle Belle Arti, così come i Direttori Didattici, i Segretari Comunali erano, nella stragrande maggioranza dei casi, gli uomini macchina che assicuravano non solo la presenza dello Stato quanto soprattutto il buon andamento e l’efficienza della Pubblica Amministrazione. E questo “felice connubio” tra Politica e Buon Governo portò l’Italia dall’abisso in cui era precipitata al tavolo delle sette nazioni più ricche del mondo. Dopo la pandemia, sarà possibile ricreare quello spirito di coesione nazionale e di riscatto civile che caratterizzò l’Italia della Rinascita e della Ricostruzione? Purtroppo per noi, non è ancora all’orizzonte alcuna rivoluzione civile. Prima dobbiamo uscire, speriamo indenni, da questa subdola e insidiosa pandemia. Poi dovremmo mettere in campo tutte le energie per riprendere il cammino verso una società più giusta, solidale, e soprattutto rispettosa dei ritmi e delle leggi della natura. Gli squilibri territoriali, soprattutto nel Mezzogiorno, non potranno essere sanati dalla sera alla mattina. Il futuro delle nuove generazioni sarà ancora una volta il banco di prova del governo che c’è e di quelli che verranno. Ma nello scenario che si apre di fronte a noi non c’è solo il rischio povertà. Il Sud non è solo povertà, non ospita solo mafia, camorra e suoi derivati. Non saremmo onesti con noi stessi se non dicessimo che nel Mezzogiorno, specie tra i giovani, c’’è anche visione, resistenza civile, voglia di riscatto e di progresso. Vorrei fare un esempio per tutti. Vorrei citare la “performance” che ha vissuto Matera. Una città bellissima e dolente che negli anni cinquanta fu definita “vergogna nazionale”. Per poi divenire, cinquant’anni dopo, Patrimonio dell’Unesco e infine, nel 2019, Capitale Europea della Cultura. Sembrava segnato il destino di Matera e invece le migliori intelligenze e le spiccate professionalità, sostenuti da una popolazione fiera e motivata, hanno compiuto il miracolo. Oggi Matera è un gioiello urbanistico e soprattutto una città a misura d’uomo. Una delle città più conosciute e visitate in Italia e in Europa. Negli anni cinquanta, questa piccola città della Lucania intraprese una lunga marcia che avrebbe cancellato non solo la “vergogna” del suo passato ma soprattutto la povertà dei suoi contadini e pastori, il pessimismo dei suoi detrattori, il risentimento atavico verso il barbaro destino. Sentiamo spesso ripetere che la Storia siamo noi. E in gran parte è vero. La Società e lo Stato, se girano in sintonia e nel verso giusto, possono contrastare la povertà e ridurre le forti disuguaglianze sociali, presenti anche nelle democrazie più avanzate. Se questo scenario non viene ribaltato, nessuna comunità potrà reggere a lungo. Perché, come scrisse Plutarco tanti secoli fa “uno squilibrio tra ricchi e poveri è la malattia più antica e fatale di tutte le Repubbliche”.

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