giovedì, 25 Aprile, 2024
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Volano gli stracci nel M5S e Beppe Grillo “piccona” il Parlamento

“Non credo assolutamente più in una forma di rappresentanza parlamentare ma nella democrazia diretta, fatta dai cittadini attraverso i referendum, andare a votare sì o no alla diminuzione dei parlamentari è come se chiedi a un pacifista ‘sei a favore o no della guerra?’”. E sul Recovery Fund: “State costruendo una società del debito. Il debito è il vostro ‘sabba’, della serie: datemi debito illimitato e cambio il mondo. Ma significa fare economia su presupposti che non stanno in piedi…”.

Parole e musica di Beppe Grillo, pronunciate nel corso di un confronto con Gunter Pauli, organizzato dal presidente del Parlamento europeo Davide Sassoli per discutere di Europa, ambiente e futuro. L’uno, Grillo, è il fondatore del Movimento 5 Stelle, l’altro invece è l’imprenditore che ha inventato la “blue economy” ovvero un’economia sostenibile capace di andare oltre la green economy attraverso meccanismi ancora più innovativi.

Per Grillo la grande vittoria del Sì al referendum sul taglio dei parlamentari rappresenta la prova che è necessario passare dalla democrazia parlamentare ad una democrazia diretta. “Alle elezioni ormai – attacca – ci va meno del 50 per cento, è una democrazia zoppicante. Si cominciano a prospettare scenari come l’estrazione a sorte, perché no? Perché non posso selezionare una persona con certe caratteristiche? Quanto al referendum, quando lo usiamo, usiamo il massimo dell’espressione democratica”.

Ma è soprattutto sul Recovery Fund che il capo storico dei 5Stelle esprime tutti i suoi dubbi.“Parlano di crescita, ma la crescita non è sviluppo – dice – Chi decide è la politica e la politica non può più essere assente e sotto scacco del debito. Bisogna cambiare modello di sviluppo, ma abbiamo un problema: le idee vecchie non vogliono morire”. Per Grillo insomma il sistema di sostegno dell’Unione europea sarebbe sbagliato a monte, poggiando ancora una volta sul “debito pubblico” che però non crea sviluppo.

Parole dure come pietre che sembrano fra l’altro smorzare l’entusiasmo del governo che proprio sul Recovery Fund sta investendo il suo consolidamento e la sua durata. Il tutto nel giorno in cui nel Movimento 5 Stelle volano gli stracci in seguito ai deludenti risultati delle elezioni regionali.

Alessandro Di Battista, voce dell’anima ortodossa e movimentista, parla di “più grande sconfitta che si sia mai avuta” e attacca la dirigenza pentastellata accusandolsa di aver tradito i valori originari, aver archiviato le battaglie storiche. “Il tema – attacca Dibba – è l’innegabile crisi identitaria del M5s e di quel sogno cui hanno creduto in tanti ma in cui oggi non credono più facendo così mancare le ragione per votare i 5s, indebolendoci e facendo sì che con queste percentuali, tra due anni e mezzo sarà più facile la restaurazione”.

Roberto Fico, presidente della Camera e considerato un fedelissimo di Grillo, si dissocia dai toni di Di Battista, ma accusa lui stesso il Movimento di “aver perso la propria identità” e ribadisce che questa va ricercata e ricostruita “con il contributo di tutti”.

Luigi Di Maio dal canto suo sembra ormai proiettato nell’ottica di un’alleanza sempre più stabile ed organica con il Partito democratico a livello territoriale e se la prende con il reggente Vito Crimi che in questa tornata è sembrato ostacolare, anziché incoraggiare, un percorso approvato dal voto della Piattaforma Rousseau. Quella piattaforma che però resta nelle mani di Davide Casaleggio indicato da tutti come il miglior alleato di Di Battista nel tentativo di scalata alla guida del Movimento. 

Di Maio promuove il modello delle alleanze civiche sul territorio. “Eravamo in coalizione a Faenza e a Caivano, e abbiamo vinto al primo turno – dice – Così come siamo riusciti a centrare i ballottaggi, sempre in coalizione, a Matera, Andria, Ariano Irpino, Pomigliano, Giugliano e Manduria. Per questo voglio ringraziare ogni singolo attivista, elettore, consigliere, parlamentare, membro di governo che non si è fermato un attimo per riuscire a raggiungere questi obiettivi”.

Ma contro di lui si scaglia Massimo Bugani, ex socio di Rousseau e attuale capo staff del sindaco di Roma Virginia Raggi. “Non sfugge  – scrive –  il tracollo del M5S in ogni tornata elettorale, dalle europee del 2019 ad oggi, con gravi responsabilità in capo a chi da allora non ha mai voluto avviare un momento di riflessione interna, non ha avuto il coraggio di convocare stati generali, non ha minimamente gestito le precedenti regionali in Calabria e in Emilia lasciando i gruppi allo sbando, non ha mai preso alcuna posizione per costruire progetti seri nei territori, ed ha poi deciso di dimettersi non certo dopo aver preso atto del fallimento, ma solo per lasciare una palla avvelenata in mano al suo successore, il quale per forza di cose era un traghettatore ma non aveva la legittimazione per prendere decisioni importanti”. Ogni riferimento a Di Maio non è ovviamente puramente casuale.

Insomma, come previsto nel M5S è scoppiata la resa dei conti e sono davvero in pochi a scommettere che i grillini ne usciranno indenni. Tenere unite le varie anime sembra ormai una “mission impossible” e i tanto decantati stati generali potrebbero essere il momento decisivo per mettere fine a tutte le ambiguità.

Certo è che dopo la sconfitta alle regionali, un’eventuale scissione dei gruppi parlamentari, con una parte dentro e un’altra fuori della maggioranza, renderebbe ancora più difficile tenere testa ad un Pd che, rinforzato dal voto amministrativo, intende battere cassa con Conte e gli alleati. 

(Lo_Speciale)

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