martedì, 30 Aprile, 2024
Politica

Il “campo” non è largo. E il centrodestra non dorma sugli allori

Caricare di significato politico nazionale ogni singola consultazione locale non è mai una buona idea. A meno che l’esito in più elezioni amministrative non sia talmente omogeneo da indicare una tendenza. Il che succede di rado.

Ha sbagliato chi aveva visto nel voto in Sardegna il “cambiamento del vento” a favore delle opposizioni e sbaglierebbe chi nel voto dell’Abruzzo volesse vedere un’approvazione incondizionata dell’azione di governo.

Il M5s non porta acqua al mulino altrui

La sinistra oggi è costretta ad arrampicarsi sugli specchi per spiegare l’insuccesso. Eppure, il tracollo del M5S era ampiamente prevedibile. Come abbiamo scritto più volte, quell’elettorato si mobilita solo se deve sostenere un suo candidato altrimenti preferisce astenersi. Non è nell’indole dei pentastellati fare i portatori di acqua al mulino altrui. Il campo “largo “o “giusto” che dir si voglia è tutt’ora un wishful thinking un desiderio che si fa pensiero ma non si traduce in realtà. I motivi sono ben noti. Pd e 5S non si fidano gli uni degli altri perché competono per avere il primato di prima forza. Conte ha il vantaggio di avere in pugno il suo partito mentre Schlein deve tener conto di chi non è appassionato all’idea di allearsi con gli eredi di Grillo.

I dubbi dell’elettorato moderato

Ma il punto più delicato è che insieme Pd e 5S non fanno maggioranza neanche con la stampella di Alleanza Verdi e sinistra. Senza voti moderati il campo non è né largo né giusto. Ma l’elettorato moderato vede come fumo negli occhi le posizioni di Conte populista in politica interna e poco affidabili in politica estera. In ogni caso nelle regionali di Basilicata e Piemonte sarà molto difficile che il gruppone delle opposizioni riesca a scalzare la coalizione di centrodestra.

Da Palazzo Chigi più leadership e apertura

E veniamo alla maggioranza. Il risultato in Abruzzo non deve dare alla testa. Una sconfitta di Marsilio sarebbe stato un campanello di allarme. Ma lo scampato pericolo non autorizza Meloni e Tajani a sedersi sugli allori né, tanto meno, consente a Salvini di pensare che il peggio per lui sia passato. Il Governo deve riprendere quota, dare prova di maggiore compattezza evitare di farsi paralizzare da contrasti e sgambetti interni. La palla passa nelle mani del Presidente del Consiglio che da qui alle europee di giugno, tra impegni internazionali e presidenza del G7, deve rafforzare la sua leadership accelerando sul programma di governo e ampliando gli orizzonti del suo partito: meno identitarismo e più apertura verso un elettorato fluido che vuole sentirsi più rappresentato, altrimenti, come l’esperienza insegna, è tentato di scappare di qua e di là.

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