mercoledì, 24 Aprile, 2024
Attualità

Panico e cultura del rischio

Il modo con cui istituzioni e cittadini stanno affrontando e vivendo l’epidemia di Covid-19 mette a nudo due pessime abitudini italiche, tra loro strettamente correlate.

Si tratta dell’assenza di una cultura del rischio e, parallelamente, di una tendenza isterica al panico di massa.

L’Italia è uno dei Paesi più sotto-assicurati del mondo sviluppato. L’assicurazione è considerata una tassa o uno spreco: tanto a me non succederà mai. E chi si assicura e non si trova mai nelle condizioni di subire un sinistro ritiene spesso di aver sprecato i propri soldi pagando premi alle compagnie senza averne ricevuto null’altro in cambio. Per dirla in breve gli italiani, individualisti incalliti, non hanno il senso della “mutualizzazione” del rischio che consiste in questo: ognuno paga sperando di non aver mai bisogno di essere risarcito ma così contribuendo ad aiutare chi dovesse trovarsi nella necessità di ricevere un indennizzo. Ci affidiamo al caso in una sorta di fatalismo pre-illuministico. Un esempio? Tutti sappiamo quanto gli italiani siano affezionati alla propria casa ma pochissimi sono quelli che la assicurano.

Correlata a questa assenza dell’idea che il rischio è sempre presente e che bisogna essere pronti ad affrontarlo c’è la pessima abitudine ad ingigantire i problemi quando si presentano in maniera improvvisa ma non per risolverli ma solo per “fare ammuina”, agitarsi in un modo scomposto che quasi sempre peggiora la situazione di crisi.

Il caso dell’epidemia di Covid-19 è emblematico. Ogni anno muoiono per influenza circa 6.000 italiani. Ma quelli che si vaccinano sono ancora pochi. Lo Stato sa benissimo quale sia il costo economico e sociale dell’influenza stagionale ma non obbliga le categorie a rischio a vaccinarsi sistematicamente prima ancora di diventare ottuagenarie.

Sicché poi si ritrova i “pronto soccorso” intasati e una marea di casi gravi che si sarebbero potuti limitare in numero e pericolosità con una vaccinazione obbligatoria. Quando questi soggetti a rischio si trovano poi esposti all’aggressione di un virus sconosciuto e particolarmente contagioso ecco che scatta l’emergenza e il panico. Le stesse persone che non vogliono vaccinarsi e le stesse istituzioni che non le obbligano a farlo entrano nel panico. E succede quello che sta sotto i nostri occhi. Si amplificano a dismisura le dimensioni reali di un problema che altrove viene gestito con maggiore calma e freddezza; si creano ingiustificate psicosi di massa anche a causa di una squinternata gestione della comunicazione di crisi. E il problema si complica, il costo per affrontarlo e risolverlo da noi diventa molto più alto di quello che pagano altri Paesi.

Se gli italiani fossero abituati all’idea che il rischio non si esorcizza con l’aglio, con le corna e gli scongiuri o affidandosi allo Stellone, ma affrontandolo di petto e per tempo, sarebbero sicuramente meno isterici di fronte a situazioni complesse come quella dell’epidemia Covid-19. Ma anche le istituzioni devono imparare la lezione: intervenire per tempo, dare informazioni essenziali, precise e utili a generare comportamenti responsabili, evitare polemiche inutili e far capire a tutti che lo Stato è in grado di fronteggiare il problema con serenità e determinazione. Fatalismo, isteria di massa, informazioni incoerenti e fuorvianti, polemiche inutili: ecco quello di cui non abbiamo bisogno.

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