sabato, 27 Aprile, 2024
Politica

La guerra fredda infinita della politica italiana

Per decenni la politica italiana è stata caratterizzata da quella che è stata definita “conventio ad excludendum“, una sorta di accordo tacito e condiviso di tutte le forze politiche democratiche per sbarrare l’accesso al governo al Partito Comunista, legato a Mosca da vincoli di vario genere, ostile all’Alleanza Atlantica e all’economia di mercato. Questo blocco, necessario per evitare all’Italia avventure pericolose – come ben sapeva anche Berlinguer- ha costituito un freno oggettivo all’alternanza tra forze di maggioranza e di opposizione e ha segnato profondamente il tono del confronto politico almeno fino ai governi di solidarietà nazionale della seconda metà degli anni Settanta. Negli anni Ottanta, con la nascita del pentapartito e lo scontro sugli euromissili, ritornò in qualche modo ad operare l’accordo per escludere i comunisti dalla stanza dei bottoni. Poi tutto fu superato dal crollo del Muro di Berlino, dallo sgretolarsi dell’Unione sovietica e dalle multiple trasformazioni del Pci in PdS, DS, Pd.

Ma la “guerra fredda” è rimasta una costante della politica italiana e non certo nel senso tradizionale del termine. La contrapposizione tra capitalismo e comunismo non c’è più, per il momento non esiste una “minaccia” russa o cinese al mondo libero, anche se qualcosa sta maturando lentamente.

La guerra fredda della politica italiana non è legata a contrapposizioni di sistemi ideologici o geopolitici ma è un fenomeno tutto interno: è un clima di “non consenso” sulle grandi scelte e di “non rispetto” reciproco tra le forze politiche, un’atmosfera perennemente avvelenata che il populismo degli ultimi anni ha pericolosamente accentuato e che un ruolo, spesso improprio, di settori marginali della magistratura ha contribuito ad accrescere.

La politica italiana è paralizzata da un’isteria di litigiosità continua, un virus endemico che contagia tutte le forze, maggioranza e opposizione.

Non si fa in tempo a costituire un Governo che subito nascono manovre, congiure e conflitti interni ai partiti che lo sostengono per farlo cadere. Non c’è leader politico che riesca ad esercitare il proprio legittimo ruolo di guida senza dover subire continui ricatti, assalti e ammutinamenti. Tutta la dinamica del potere e del confronto tra le forze politiche è inquinata da una guerriglia di tutti contro tutti, fatta di imboscate, di tradimenti, tatticismi, ribaltoni e così via.

La democrazia pluralista si nutre di confronti anche aspri tra élites politiche ma richiede un minimo di consenso sulle regole, sugli essenziali principi, sul rispetto reciproco, sul considerare l’avversario non un nemico né un Male assoluto né un corrotto.

Alla base di questa fragilità del confronto politico c’è la mancanza di una visione comune di cosa fare dell’Italia, l’assenza di una spinta propulsiva capace di ideare grandi progetti e di subordinare ad essi le piccolezze che spesso immiseriscono la politica trasformandola in un vacuo carosello di potere fine a se stesso.

Se prendiamo come spartiacque la fine forzata dalla Prima repubblica con la dissoluzione dei partiti tradizionali, dal 1994 ad oggi non c’è memoria di un dibattito pubblico capace di volare alto e di puntare alla grande trasformazione dell’Italia. Al suo posto c’è stato un continuo nascere e tramontare di partiti, una perenne instabilità delle maggioranze che spesso si sono suicidate, un continuo decadimento della qualità del confronto nei partiti e tra i partiti, una delegittimazione reciproca che il populismo ha esasperato col suo manicheismo e che ha lasciato ampio spazio a scorribande di qualche magistrato che ha pensato di incidere sulla vita politica esercitando il potere giurisdizionale.

Porre fine a questa guerra fredda continua che deprime la vita politica italiana è una priorità assoluta per le nuove generazioni di politici che dovrebbero creare un clima nuovo, una sorta di “conventio ad includendum” per ricostruire uno spirito di condivisione quanto meno della consapevolezza che senza grandi riforme che richiedono un ampio consenso non si costruisce alcun futuro per l’Italia.

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