venerdì, 19 Aprile, 2024
Esteri

Putin ammette: “Le sanzioni fanno male”. L’economia russa scricchiola

Vladimir Putin, durante un incontro con il governo trasmesso in televisione, ha finalmente ammesso che “Le sanzioni imposte all’economia russa nel medio termine possono davvero avere un impatto negativo su di essa”. Una notizia di assoluto rilievo se si considera che fin’ora il Cremlino aveva sempre minimizzato la portata delle sanzioni imposte alla Russia a causa della guerra di aggressione contro l’Ucraina. Mosca aveva impostato la propria campagna disinformativa, che mirava a dipingere come inefficaci le sanzioni, forte del fatto che lo scorso anno, nei primi mesi dell’invasione, i prezzi del petrolio e del gas naturale avevano subito un’impennata, portando enormi profitti alla Russia. Ma quei giorni sono ora finiti.

La guerra è giunta al suo secondo anno e le sanzioni occidentali stanno diventando sempre più severe. Le entrate del governo russo si stanno riducendo e l’economia russa è, nel lungo termine, su una traiettoria di crescita inferiore. I principali prodotti di esportazione del Paese, gas e petrolio, hanno perso i loro principali clienti. Allo stesso tempo, il rublo è sceso di oltre il 20% da novembre rispetto al dollaro. La forza lavoro si è ridotta man mano che i giovani sono stati inviati al fronte o che sono fuggiti dal Paese per paura di essere arruolati nell’esercito. L’incertezza scoraggia anche gli investimenti delle imprese.

“L’economia russa sta entrando in una regressione a lungo termine”, prevede Oleksandra Prokopenko, un ex funzionario della Banca centrale russa che ha lasciato il Paese poco dopo l’invasione.

Il miliardario russo Oleg Deripaska ha dichiarato questo mese che la Russia sta finendo i soldi. “Non ci saranno soldi l’anno prossimo, abbiamo bisogno di investitori stranieri”, ha recentemente detto il magnate delle materie prime in una conferenza economica.

A causa della perdita del mercato europeo e del ritiro degli investitori occidentali, Mosca sta diventando sempre più dipendente dalla Cina.

“Nonostante la resilienza a breve termine della Russia, il quadro a lungo termine è desolante: Mosca sarà molto più chiusa ed eccessivamente dipendente dalla Cina”, ha affermato Maria Shagina, Senior fellow presso l’International Institute for Strategic Studies di Londra.

Il presidente russo Vladimir Putin ha pianificato di utilizzare le forniture energetiche russe per limitare il sostegno dell’Europa occidentale all’Ucraina. Al contrario, i governi europei non hanno ridotto il loro sostegno a Kiev, ma hanno iniziato a cercare rapidamente nuove fonti di gas naturale e petrolio.

La maggior parte dei flussi di gas russo verso l’Europa si è interrotta e, dopo un picco iniziale, i prezzi globali del gas sono crollati. Ora Mosca dice che taglierà la produzione di petrolio del 5% entro giugno rispetto ai livelli precedenti. Vende il suo petrolio a prezzi ridotti rispetto ai prezzi mondiali. Di conseguenza, nei primi due mesi di quest’anno, le entrate energetiche del governo russo sono diminuite di quasi la metà rispetto allo scorso anno e il deficit di bilancio si è approfondito.

Nei primi due mesi il divario fiscale ha raggiunto i 34 miliardi di dollari, pari a oltre l’1,5% della produzione economica totale del Paese. Ciò costringe Mosca ad attingere maggiormente al suo fondo sovrano, uno dei principali tamponi anti-crisi, che ha ancora scorte per 147 miliardi di dollari.

La Russia ha trovato il modo di vendere il suo petrolio alla Cina e all’India. Al contempo, la Cina ha iniziato a fornire molte parti che la Russia riceveva dall’Occidente.

I funzionari russi riconoscono le difficoltà, ma affermano che l’economia si è adattata rapidamente. Putin ha affermato che il suo governo sta efficacemente contrastando le minacce all’economia.

Per più di 20 anni di governo di Putin, gli alti proventi del petrolio e del gas hanno sostenuto un contratto sociale in cui la maggior parte dei russi è rimasta in gran parte lontana dalla politica dell’opposizione e dalle proteste in cambio di standard di vita più elevati.

Il Fondo monetario internazionale stima che il tasso di crescita potenziale della Russia – il tasso al quale potrebbe crescere senza timore di inflazione – fosse circa del 3,5% prima del 2014, anno in cui venne occupata la Crimea. Alcuni economisti affermano che questo tasso sia ora sceso all’1% poiché la produttività del lavoro diminuisce e l’economia diventa tecnologicamente arretrata e più isolata.

“Per un’economia come quella russa, l’1% non è niente, non è nemmeno un livello di sostegno”, ha detto Prokopenko.

Il calo delle esportazioni, un mercato del lavoro teso e l’aumento della spesa pubblica stanno peggiorando i rischi di inflazione, ha affermato questo mese la Banca centrale russa. Secondo il Gaidar Institute of Economic Policy di Mosca, l’industria del Paese sta vivendo la peggiore carenza di manodopera dal 1993. Secondo la Banca centrale russa, la fuga di cervelli seguita all’invasione e alla mobilitazione di 300.000 militari dello scorso autunno ha lasciato circa la metà delle imprese di fronte alla carenza di manodopera.

La Russia, prima dell’introduzione delle attuali sanzioni, ha cercato di attuare per molti anni la sostituzione delle importazioni, rimpiazzando le merci estere con quelle nazionali, ma con scarso successo. Gran parte delle apparecchiature di telecomunicazione e dei moderni software per la perforazione dei pozzi petroliferi viene importata.

Con tutti i cambiamenti in atto, l’economia russa sta diventando sempre più dipendente dallo Stato.

Gran parte della crescita della produzione industriale ora proviene da fabbriche che producono razzi, proiettili di artiglieria e abbigliamento militare. Secondo Putin, alcune fabbriche stanno lavorando su più turni per soddisfare la domanda.

Sebbene le statistiche ufficiali non evidenzino la produzione militare, la produzione di “prodotti metallici finiti” – una voce che secondo gli analisti include armi e munizioni – è aumentata del 7% lo scorso anno.

La produzione di computer, prodotti elettronici e ottici – un’altra voce che includerebbe prodotti militari – è aumentata del 2% su base annua e del 41% a dicembre rispetto a novembre. Al contrario, la produzione di automobili è diminuita di circa il 45% su base annua.

L’anno scorso, la Russia è riuscita a evitare le peggiori previsioni grazie agli alti prezzi globali dell’energia. Le esportazioni di gas verso l’Europa hanno iniziato a diminuire solo la scorsa estate. Il divieto dell’UE sulla fornitura di petrolio russo trasportato via mare e le restrizioni sui prezzi da parte dei Paesi del G7 sono entrati in vigore solo a dicembre. Le sanzioni sui prodotti petroliferi come il diesel sono entrate in vigore il mese scorso.

Questi ritardi hanno incrementato le vendite di energia e aiutato il governo russo con uno beneficio fiscale di circa il 4% del PIL nel 2022, secondo il FMI.

Tuttavia, a gennaio e febbraio di quest’anno, le entrate fiscali dell’industria petrolifera e del gas, che rappresentano quasi la metà di tutte le entrate di bilancio, sono diminuite del 46% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, mentre la spesa pubblica è aumentata di oltre il 50%.

Gli analisti stimano che il prezzo di pareggio del petrolio russo – ossia il prezzo necessario per pareggiare il bilancio – sia salito a più di 100 dollari al barile poiché le spese di guerra gravano sempre di più sul bilancio.

Allo stesso tempo, a febbraio, il prezzo del petrolio russo variava da 49,56 a 80 dollari al barile. Troppo poco per poter realmente pareggiare il bilancio. L’economia russa inizia a crollare.

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