In un precedente articolo (La Discussione 14 dicembre) mi sono soffermato su ciò che resta dei 5 stelle dopo il rapido trionfo elettorale del 2018 e l’altrettanto rapido e rovinoso tracollo nelle europee del maggio scorso cui è seguito un lento sgretolamento di cui l’uscita verso la Lega di 3 senatori è il più recente – ma di certo non l’ultimo – atto.
Essere senza una vera linea politica, diventare succubi dei propri alleati, rimanere prigionieri di predicazioni massimalistiche è la ricetta peggiore per un movimento politico.
Eppure i 5 stelle potrebbero ancora provare a darsi una identità precisa e a sfuggire all’inesorabile e rapida liquefazione cui sembrano prossimi.
Il primo atto che dovrebbero compiere consiste nell’attivare una vera democrazia interna, che si basi su confronti, discussioni, approfondimenti dei problemi e non su politiche che piovono dall’alto. Insomma, i populisti ascoltino il loro popolo e non decidano nel sinedrio formato da 4 persone. La democrazia interna costringerebbe a riflettere di più a pensare meglio agli errori commessi.
Il secondo passaggio consiste nell’aprirsi davvero agli apporti di chi si è sentito o si sente vicino allo “spirito” iniziale del Movimento e che ha provato a dare idee, progetti, programmi ai 5 stelle ed è stato messo a tacere con supponenza. Dal dialogo con persone qualificate e che non sono politici di professione potrebbero venire spunti per riempire le tante lacune di cui è disseminato il programma dei 5 stelle. Un po’ di umiltà non fa male.
Il terzo elemento per ridarsi una identità consiste nel mettere in soffitta slogan, frasi fatte, predicozzi vacui e inutili e studiare attentamente i problemi per individuare soluzioni originali ispirate da un cluster di valori che è ciò che, forse, ancora rimane dei 5 stelle: rigore morale e lotta alla corruzione, responsabilità nella gestione della cosa pubblica, lotta contro le consorterie di potere, attenzione alle fasce sociali disagiate, difesa dell’ambiente.
Il quarto passaggio si concretizza in una serie di conferenze programmatiche da preparare con accuratezza e non superficialità per esaminare i macroproblemi del Paese e proporre ricette praticabili che facciano leva sullo sviluppo economico e non su scelte anti-industriali, su politiche ambientali che non blocchino la crescita ma la rendano più innovativa e sull’aggancio solido all’Europa, senza le incertezze del passato.
Al dilemma se i 5 stelle debbano essere di destra o di sinistra la risposta è stata data dai fatti: la componente populista di destra del Movimento 5 stelle è già passata alla Lega e quelli che non lo hanno ancora fatto si apprestano a salire sul carro di Salvini.
Rincorrere, come vorrebbe Di Battista, l’onda lunga della destra anche se con accenti “anticapitalisti” servirebbe solo a creare altra confusione e ad accelerare l’estinzione del Movimento.
Il quinto elemento di questa ricostruzione di identità consiste nel collocarsi in un’area che la sinistra tradizionale ha lasciato scoperta: quella del disagio sociale, dell’emarginazione, dei nuovi poveri, di chi riceve servizi pubblici scadenti e di chi subisce ingiustizie. Ma a queste persone il Movimento non deve andare ad esacerbare gli animi o a proporre assistenzialismo o ricette ridicole come la “decrescita felice”, il NO generalizzato contro qualsiasi grande opera o innovazione. Deve proporre uno sviluppo economico equilibrato e rispettoso dell’ambiente che generi ricchezza da redistribuire in maniera più equa.
Se davvero i 5 stelle riuscissero a darsi una nuova identità secondo le linee qui descritte potrebbero diventare una forza riformatrice di tipo nuovo, priva di schemi ideologici, più credibile e concreta e capace di dar voce a chi non ha più fiducia nella sinistra tradizionale ma non vuol correre avventure populiste.