Ormai Kurt il marziano si sente a casa sua tutte le volte che va a curiosare nella mia biblioteca e così, ieri sera, quando l’ho sorpreso ad impilare sulla scrivania una serie di volumi – da Il dispotismo orientale di Karl A. Wittfogel (1962) a La grande Storia del Tamigi di Peter Akroyd (2009), fino al recentissimo Il Nilo di T. Tvedt (2022) – aventi ad oggetto i grandi fiumi che tracciano da sempre i confini delle civiltà, gli ho domandato come mai tanta curiosità per questi dettagli della geografia, peraltro sconosciuti su Marte, ove si conoscono (al massimo) delle pallide copie dei laghi terrestri.
Senza minimamente scomporsi di fronte a questa provocazione, Kurt mi ha risposto che stava cercando di capire se fosse proprio la presenza dei fiumi sulla terra a disegnare un così molteplice numero di civiltà e di differenti costumi fra gli abitanti del nostro pianeta rispetto alla semplicità del modello che riguarda il Suo luogo natale.
Pur trovando abbastanza singolare quella risposta, ho voluto dargli corda e Gli ho domandato a quali conclusioni fosse giunto al termine della lettura di quei libri, così diversi eppure così simili fra loro: almeno nelle prospettive da cui ciascuno dei loro singoli autori muove.
La mia domanda era piuttosto generica, ma la risposta mi ha basito, perché il Marziano – anziché farmi rilevare la superficialità del mio approccio alle sue ricerche – si è prodotto in una dotta disquisizione sul rapporto fra la dimensione dei flussi d’acqua che percorrono ciascun letto fluviale e il tasso di dispotismo degli Stati che ne sono attraversati; ha citato Marx e Weber; ha richiamato l’incompatibilità fra la Senna e l’assolutismo monarchico culminato nella rivoluzione francese e ha tratto dai suoi originali ragionamenti una conclusione sorprendente: quella di non aver trovato, a proposito del Tevere, alcuno studio che avesse preso in considerazione le correlazioni fra il percorso di un tale fiume e le vicende che si sono svolte lungo le sue rive.
Neanche il più recente libro sull’argomento, attribuibile a di S. Caviglia, A proposito del Tevere (2018), si muove in una tale prospettiva e questa circostanza – ha concluso Kurt – appare ancor più strana ove si pensi che proprio sulle rive del Tevere si sviluppò Il maggiore insediamento politico dell’antichità: quello culminato nell’impero romano e nelle lezioni di civiltà giuridica che ne derivarono e di cui ancor oggi gode il nostro Pianeta e non solo l’Europa.
Questo paradosso però è solo apparente e cade, come tale, di fronte al banale ragionamento per cui gli autori dei libri scrivono anche – se non innanzitutto – per vendere il maggior numero di copie possibile delle loro opere e, almeno ai giorni nostri, l’importanza di Roma come elemento politico di riflessione può interessare al massimo un ristretto numero di studiosi, visto e considerato che la città è divenuta la capitale di un Paese sempre più condannato all’irrilevanza all’interno dell’ordine mondiale contemporaneo.
Riconosco che un simile modo di opinare può ben essere considerato alla stregua di un ragionamento estremo e forse anche doloroso, ma non è colpa dei romani se il fiume che attraversa la loro Città non vede più da secoli il rinnovarsi degli antichi fasti.
Infatti, pur se il fenomeno delle città-stato non è più dei nostri tempi, sono anche i fiumi che attraversano le città-capitali ad essere oggetto di attenzione da parte degli studiosi di diritto e di scienza politica, ma il diritto – In Italia – attraversa oggi una delle sue crisi peggiori, stretto come è fra leggi di pessima fattura e loro applicazione giudiziale: sempre più lontana dall’idea di giustizia che ogni cittadino si è formato appena raggiunta l’età della ragione.
Ho tratto questa conclusione parlando con me stesso, ma purtroppo ad alta voce e così il Marziano, che l’ha ascoltata, ha avuto buon gioco nel farmi a Sua volta osservare che – in un ordinamento democratico – il popolo elettore è in grado, sempre e comunque, di stabilire chi deve rappresentarlo per dettar legge e come debbano essere scelti i giudici che quella legge debbono applicare.
Mai come in questo momento – ha concluso Kurt – gli strumenti di democrazia delegata (le elezioni politiche) e quelli di democrazia diretta (i Referendum) possono concorrere ad un nuovo Rinascimento dell’Italia: le elezioni si terranno infatti l’anno prossimo, mentre i Referendum sulla giustizia arriveranno alla fine della prossima settimana, anche se saranno votati monchi del quesito principale: quello relativo alla responsabilità dei giudici per gli errori compiuti nell’esercizio delle loro funzioni.
Debbo anche stavolta riconoscere che Kurt ha ragione, perché, se la svolta referendaria dovesse risolversi in un nulla di fatto e le elezioni politiche dovessero riprodurre le maggioranze-non maggioranze che oggi governano questo Paese, anche il Tevere potrà continuare a scorrere con tutta tranquillità senza che alcuno lo faccia oggetto della propria attenzione secondo l’approccio utilizzato a proposito degli altri grandi fiumi che attraversano il nostro pianeta e che – a pensarci bene – non sono moltissimi (come non sono moltissimi gli ordinamenti generali che dettano legge ad altri ordinamenti minori, come è diventato, appunto, il nostro).