Se la sopravvivenza di un popolo – come disse Milan Kundera al IV Congresso dell’unione degli Scrittori in Cecoslovacchia nel giugno 1967 e scrisse nel suo Occidente prigioniero – dipende dalla forza dei suoi valori culturali, potremmo facilmente traslarne il significato ad oggi. Confermandone in parte il senso, potremmo affermare che la sopravvivenza dipenda però – più che da un principio di forza – dalla resistenza dello spessore culturale del Paese. Se allora si consumò l’effettiva rottura tra scrittori e potere, assunta dalla Primavera di Praga – significativa per il valore che la rinascita delle arti, della letteratura e del cinema svolse nell’accelerazione della decadenza ed il declino della struttura politica – potremmo ad oggi identificare la principale spaccatura nel divario abissale tra spirito del popolo, tra la sua coscienza spirituale e quella pratica, più evidente nel suo prossimo futuro.
LA RESISTENZA CULTURALE NELLA STRUTTURA DEL POPOLO
Nel 1983 poi, Kundera rincarò la dose: accusò l’Occidente di aver assistito inerte all’annientamento del suo “essenziale crogiolo culturale”, di Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia – dimentico delle grandiose rivolte cui diedero vita tra 1956 ed il 1970, “sorrette dal connubio di cultura e vita, creazione e popolo”. E non si mosse sulla base di principi aleatori ed utopici: bensì si rivolse all’individuo in quanto tale, al suo personale sentimento d’appartenenza; “Che cosa rappresenta l’Europa per un ungherese, un ceco, un polacco?” si chiese lo scrittore. Come se oggi ci domandassimo tutti: Che cosa rappresenta l’Europa per un ucraino? Ed ancora, Kundera rispose a sé stesso: “Per loro la parola Europa non è un fenomeno geografico, ma una nozione spirituale, sinonimo di Occidente.”
MIRARE ALL’EUROPA
Infatti quando nel mese di settembre del 1956 i russi scatenarono un’offensiva contro Budapest, fu il direttore dell’agenzia di stampa ungherese, soltanto pochi minuti prima che il suo ufficio fosse distrutto, a trasmettere a tutto al mondo via telex una disperata missiva dall’emblematica conclusione: “Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa”. Eppure – come sottolineato da Kundera – non era l’integrità fisica, del corpo europeo ad essere in pericolo: l’attacco dell’artiglieria non l’avrebbe toccata. La mira era invece rivolta alla sua sostanza spirituale: alla sua appartenenza all’Europa: “E perché l’Ungheria restasse Ungheria e restasse Europa era pronto a morire”.