giovedì, 26 Dicembre, 2024
Considerazioni inattuali

Nella prigione d’Occidente

Se la sopravvivenza di un popolo – come disse Milan Kundera al IV Congresso dell’unione degli Scrittori in Cecoslovacchia nel giugno 1967 e scrisse nel suo Occidente prigioniero – dipende dalla forza dei suoi valori culturali, potremmo facilmente traslarne il significato ad oggi. Confermandone in parte il senso, potremmo affermare che la sopravvivenza dipenda però – più che da un principio di forza – dalla resistenza dello spessore culturale del Paese. Se allora si consumò l’effettiva rottura tra scrittori e potere, assunta dalla Primavera di Praga – significativa per il valore che la rinascita delle arti, della letteratura e del cinema svolse nell’accelerazione della decadenza ed il declino della struttura politica – potremmo ad oggi identificare la principale spaccatura nel divario abissale tra spirito del popolo, tra la sua coscienza spirituale e quella pratica, più evidente nel suo prossimo futuro.

LA RESISTENZA CULTURALE NELLA STRUTTURA DEL POPOLO

Nel 1983 poi, Kundera rincarò la dose: accusò l’Occidente di aver assistito inerte all’annientamento del suo “essenziale crogiolo culturale”, di Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia – dimentico delle grandiose rivolte cui diedero vita tra 1956 ed il 1970, “sorrette dal connubio di cultura e vita, creazione e popolo”. E non si mosse sulla base di principi aleatori ed utopici: bensì si rivolse all’individuo in quanto tale, al suo personale sentimento d’appartenenza; “Che cosa rappresenta l’Europa per un ungherese, un ceco, un polacco?” si chiese lo scrittore. Come se oggi ci domandassimo tutti: Che cosa rappresenta l’Europa per un ucraino? Ed ancora, Kundera rispose a sé stesso: “Per loro la parola Europa non è un fenomeno geografico, ma una nozione spirituale, sinonimo di Occidente.”

MIRARE ALL’EUROPA

Infatti quando nel mese di settembre del 1956 i russi scatenarono un’offensiva contro Budapest, fu il direttore dell’agenzia di stampa ungherese, soltanto pochi minuti prima che il suo ufficio fosse distrutto, a trasmettere a tutto al mondo via telex una disperata missiva dall’emblematica conclusione: “Moriremo per l’Ungheria e per l’Europa”. Eppure – come sottolineato da Kundera – non era l’integrità fisica, del corpo europeo ad essere in pericolo: l’attacco dell’artiglieria non l’avrebbe toccata. La mira era invece rivolta alla sua sostanza spirituale: alla sua appartenenza all’Europa: “E perché l’Ungheria restasse Ungheria e restasse Europa era pronto a morire”.

Condividi questo articolo:
Sponsor

Articoli correlati

Imprese. Confcommercio: costi energia e guerra, per aziende e famiglie rincari del 160%

Marco Santarelli

Giornata dell’Africa: Sant’Egidio, hanno bisogno di noi

Cristina Gambini

Zelensky avverte del rischio di un imminente scontro con le truppe nordcoreane già presenti a Kursk

Antonio Marvasi

Lascia un commento

Questo modulo raccoglie il tuo nome, la tua email e il tuo messaggio in modo da permetterci di tenere traccia dei commenti sul nostro sito. Per inviare il tuo commento, accetta il trattamento dei dati personali mettendo una spunta nel apposito checkbox sotto:
Usando questo form, acconsenti al trattamento dei dati ivi inseriti conformemente alla Privacy Policy de La Discussione.