Da un titolo del Fatto Quotidiano di qualche giorno fa abbiamo appreso che l’Italia sarebbe “maglia nera” nell’antiriciclaggio. Una sorpresa per chi scrive da 30 anni sulla materia. L’Italia è stata il primo Paese in Europa a recepire le direttive per la prevenzione del riciclaggio e, poi, del finanziamento del terrorismo.
Nel 1991, il decreto legge 143 dava attuazione alla Direttiva 91/308 prima della sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale UE. Nella c.d. “Rognoni-La Torre”, del 1982, c’era già – in nuce – la punibilità del reato di riciclaggio e la previsione di indagini patrimoniali contro le mafie, sviluppate poi con lungimiranza da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Nel 1990 il Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI), ente intergovernativo nato nel 1989 in ambito Onu, emanava Raccomandazioni, oggi 40, rivisitate nel 2020 da ultimo…Ma l’Italia le aveva già in gran parte recepite con il suddetto intervento legislativo.
La creazione – in seno alla Banca d’Italia – dell’Uic, dedicata ai controlli valutari e antiriciclaggio, ci consegnava indagini antimafia fatte anche sotto la spinta della crescente partecipazione di intermediari finanziari e altri soggetti obbligati ad osservare le norme di prevenzione.
Dal 2007 il d.lgs. 231, oggi il corpus delle nostre norme di prevenzione del riciclaggio e del finanziamento al terrorismo, è senz’altro il più completo nel panorama delle legislazioni europee sulla materia.
Una commissione di esperti, di cui indegnamente feci parte, oltre al recepimento della direttiva Ue del 2005, apprestò una sorta di Testo unico dell’antiriciclaggio, pionieristico nel suo genere.
Il perno della normativa di settore è la c.d. “adeguata verifica”: la richiesta alla clientela delle banche e degli altri soggetti, attraverso i quali transitano denaro e affari, di dati senza i quali non e” possibile instaurare rapporti e accettare transazioni oltre una certa soglia da soggetti che non possano essere compiutamente identificati.
Questa “schedatura”, a fini amministrativi ma, poi, utilizzata per finalità di indagine contro il riciclaggio, ha prodotto la creazione di banche dati potentissime presso la rete degli intermediari. Ma, soprattutto, presso le Autorità di vigilanza di settore, su tutte la Uif, Unità di Informazione finanziaria, operativa – con encomiabile e riconosciuta nell’Ue efficacia – dal 1 gennaio 2008.
Dal 2007, nel nostro Paese non si apre un conto, non si fa una polizza sulla vita, non si può investire in borsa, non si può costituire una società o ente dal notaio, etc., senza che si dichiari (e se ne accerti l’identità) il titolare effettivo.
Questa informazione doveva poi confluire, è vero, in una banca dati centralizzata, presso le Camere di Commercio, accessibile, con motivazioni da giustificare , a chi possegga azioni o quote in misura pari al 25% almeno del capitale sociale.
Un inspiegabile ritardo ad oggi non consente di avere materialmente la banca dati. Essa non sarà la soluzione dei mali, ma solo un aiuto, in quanto sarà sempre affidato a chi la consulta l’onere della verifica della giustezza dei dati ivi contenuti. E comunque, salvo stravolgimenti della bozza di decreto ancora in gestazione, non sarà-auspicabilmente- accessibile ai giornalisti.
Secondo il Direttore dell’Uif, Claudio Clemente, nel corso del 2020 ci sono state oltre 130.000 segnalazioni e altrettante ne sono state lavorate da Gdf e Dia. Record Ue e, forse, mondiale, il nostro. Con una efficacia senza precedenti o paragoni nel contrasto alla criminalità organizzata e al terrorismo.
Chi vuole può trovare maggiori dati e analisi nel mio “Manuale di legislazione e prassi antiriciclaggio”, edito da Giappichelli nel 2020.