sabato, 20 Aprile, 2024
Società

Servizi pubblici e sociali con meno spesa pubblica? Si può

È dai primi anni ’70 che lo Stato continua a dilatare la spesa pubblica. Prima d’allora, l’Italia era considerata la formica d’Europa e il debito pubblico viaggiava poco sopra il 40%, quindi al di sotto del debito medio degli Stati europei. Oggi siamo oltre il 150%, al netto della pandemia.

 

Le cause dell’enorme fardello

Tra i fenomeni determinanti, il regionalismo avventuristico, che mentre arricchiva in parte il Paese di protagonismi civili, culturali e sociali, allo stesso tempo lo indeboliva dentro una politica della spesa a briglie sciolte con scarso controllo del territorio, sotto il profilo dell’ordine pubblico. Proliferavano i centri di spesa, ma senza effetti benefici sull’efficacia dei servizi pubblici; cresceva la competizione fra Stato centrale e poteri periferici; un regionalismo improvvisato alimentava in modo esponenziale il conflitto fra partiti di governo e partiti di opposizione.

Alcune Regioni hanno dimostrato protagonismo e capacità di eccellenza, penso per mia esperienza diretta all’Emilia-Romagna, alle province di Trento e Bolzano, alla Toscana, alla Lombardia, debole restando sullo sfondo una politica di riequilibrio fra nord e sud del Paese, esposto quest’ultimo all’inquinamento politico-mafioso, in primis la regione Sicilia.

Nella crescita anomala della spesa hanno pesato il cattivo governo della scolarizzazione di massa disgiunto da una finalizzazione di inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, la debolezza d’investimenti nella ricerca scientifica; il malgoverno della Sanità, la gestione allegra del sistema pensionistico.

 

Nuove opportunità per i servizi pubblici

Oggi la cosiddetta quarta rivoluzione industriale, i grandi successi della ricerca, le proposte avanzate dalla scienza e dalle imprese per l’innovazione energetica e ambientale degli apparati produttivi e di servizio, fanno emergere un’economia che fa leva sugli investimenti privati nel settore dei servizi pubblici locali.

Le città hanno bisogno di innovazione. Si pensi alla gestione dell’illuminazione pubblica, ai parcheggi modali, alla gestione dei servizi per la mobilità, alla raccolta e al riciclaggio dei rifiuti, alla gestione del calore negli edifici pubblici, a quella dei parchi naturalistici e ai centri sportivi.

Esistono strumenti giuridici, affinati in questi anni dalle logiche di mercato, fra questi: il project financing e il più collaudato strumento delle concessioni in gestione.

Investire su questi servizi con capitali privati, aprendo nuovi mercati, unificando le gestioni pluriennali dei servizi pubblici, con puntuale indirizzo, coordinamento e controllo pubblico, sia per l’ordinaria manutenzione che per la straordinaria, con crescita dell’efficienza e dell’efficacia dei servizi, con decisiva diminuzione dei costi pubblici e del carico dei costi per imposta o per tariffa a carico del cittadino. Una ricetta vincente.

Il governo dei processi energetici consente ulteriori e decisive riduzioni dei costi e dell’inquinamento delle città. I Comuni faticano a gestire tutto questo, e un sostegno da parte dello Stato sarebbe provvidenziale: in un sol colpo avvieremmo il risanamento della finanza pubblica, rilanceremmo la qualità dei servizi pubblici, apriremmo i privati a nuovi immensi mercati, favorendo qualità della vita e nuova occupazione qualificata.

Il Paese e l’Europa attendono segnali chiari in questa direzione da parte del Governo nazionale e del Parlamento.

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