Sono i precari, finora, il fattore principale che dà slancio alla nostra economia.
A gennaio, nell’industria e nei servizi sono ben 200.000 i contratti a tempo stipulati da gennaio e tale caratteristica coinvolge anche l’immediato futuro.
È un fenomeno già leggibile nella tendenza degli scorsi anni: fino al terzo trimestre del 2019, il 94% della crescita economica era sulle spalle di ben 774.000 occupati a termine, di mezzo milione di partite iva (ora scomparse) e di soli 51 mila lavoratori beneficiari di contratti a tempo indeterminato.
Se questa tendenza dovesse non solo continuare, ma rafforzarsi, avendo come prime vittime le donne lavoratrici, sarà provata, da una parte, la propensione di molti imprenditori a enfatizzare flessibilità e rotazione degli addetti alla produzione e dall’altra, il permanere di una condizione frustrante per molti lavoratori, tale da scoraggiare soprattutto i giovani a costituire una famiglia e a incrementare gli avvilenti tassi di natalità.
Retribuzioni incerte e a volte molto contenute coniugate con un costo della vita evidente e le insufficienze croniche di politiche per la famiglia, la tutela degli anziani, la cura e l’avvenire dei figli sono destinate a incidere in negativo sugli ambiziosi e giusti obbiettivi del piano governativo per l’impiego delle risorse comunitarie.
Ancora una volta, sarà opportuno che coloro che contano, nelle istituzioni come nell’economia e nella società, ascoltino gli appelli di Papa Francesco perché, se sarà possibile uscire dalla pandemia, non sarà facile vivere sul filo della miseria.