venerdì, 19 Aprile, 2024
Economia

L’evasione fiscale spuzza come la corruzione

Il Governo cerca, affannosamente, d’applicare l’articolo 53 della Costituzione perché afferma che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Un articolo della Costituzione snobbato o sconosciuto e che alcune forze politiche, in Parlamento, vorrebbero disattendere, abolire e sostituire con una tassazione basata su una aliquota unica, denominata flattax, mentre il Governo annuncia una riforma, in tempi brevi, che possa accontentare tutti e salvare così, come suol dirsi, “capra e cavoli”. Vi riuscirà?

E se la “corruzione spuzza” secondo il termine coniato, pubblicamente, dal Sommo Pontefice, Papa Francesco, lo stesso termine è più che appropriato anche per l’evasione fiscale e per la corruzione nostrana, specie quando germoglia e si sviluppa nelle Istituzioni, nei partiti politici ed in tutti gli organismi che sono preposti a reprimerla. Essa è proprio la piaga sociale che si interfaccia con l’evasione fiscale, di fronte ai quali fenomeni il Governo sembra abbia armi spuntate o, peggio ancora, poco entusiasmo a debellarle, almeno fino ad ora. Non è di certo un’impresa facile, ma neanche difficile o, forse, impossibile come l’epidemia da Covid-19 con la quale, sembra, dobbiamo abituarci a convivere. Occorre tanta buona volontà, occorre lavorare, investendo molto sulla coscienza della gente civile, facendole capire l’importanza nobile del pagamento delle imposte, ma soprattutto, dandole il buon esempio, oggi scarsamente divulgato.

Quest’articolo, su cui è incardinato il sistema tributario del nostro Paese, è in viaggio dal lontano 1948, partito insieme alla Carta costituzionale; ma il suo percorso è stato ed è continuamente ostacolato, benché non sia difficile immaginarne il perché, visto che mette le mani nelle tasche dei cittadini e non tutti sono inclini o disponibili a questo prelievo coattivo, obbligatorio, forzoso, spesso anche eccessivo, quasi da estorsione, come l’attuale aliquota massima del 43% sta a dimostrare, nonostante i propositi d’impiego delle risorse raccolte siano lodevoli perché destinate ad assicurare servizi di utilità collettiva, cui il singolo non potrebbe mai adempiervi. Esso afferma che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”. Ma non tutti vi adempiono e sono anche molti quelli che vi si sottraggono, evadendo le imposte perché ritenute eccessive, nonostante il successivo ed ultimo secondo comma dell’articolo 53 rassicura che “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. In realtà questa irregolare progressività raggiunge percentuali davvero insopportabili ed attualmente, come già detto, tocca il 43% nel suo ultimo scaglione, al superamento di 55 mila euro che, per una famiglia di quattro persone, non bastano ad arrivare alla fine del mese, per una vita decorosa. In passato non è che le cose andavano meglio; basta dare uno sguardo al testo unico delle leggi sulle imposte dirette, D.P.R. 29 gennaio 1958, n. 645 ed alla relativa tabella delle aliquote riguardanti l’imposta complementare sul reddito, per scoprire oltre trecento aliquote, a scaglioni ogni 500 mila lire, fino a redditi oltre 500 milioni di lire con l’aliquota massima, più che esagerata, del 65%.

Non era neanche di meno la pressione fiscale scaturita dalla riforma tributaria di cui alla legge delega al Governo del 1971, n. 825, D.P.R. 597/1973, con le sue 32 aliquote e scaglioni, che prevedeva redditi tassabili oltre i 550 milioni di lire, con l’aliquota corrispondente del 72%.

La stranezza è che la pressione fiscale si sofferma sempre tra i redditi medio-bassi cioè tra quei contribuenti che fanno sacrifici per arrivare alla fine del mese e sono, tra l’altro, i prevalenti che alimentano le medie e le piccole imprese, gli artigiani ed i professionisti; vale a dire quelli che muovono l’economia del Paese.

Ciò nonostante, i contribuenti tutti, specialmente quelli che sono costretti a pagare fino all’ultimo euro, sono ancora fiduciosi che venga varata presto una riforma fiscale che attui il principio costituzionale appena menzionato, in modo che – come si suole far credere -, pagando tutti si pagherebbe di meno. Lo si afferma da decenni ma non se ne viene mai a capo. I soldi non bastano mai e, poiché non tutti pagano, si usa la leva della pressione fiscale, sempre più insopportabile, per i contribuenti delle fasce medio-basse.

Lo Stato, dal canto suo, non può fare a meno di un certo gettito fiscale perché non sarebbe in grado ad assicurare i servizi essenziali che ha il dovere di garantire, ad iniziare dalla tutela della salute (art.32 della Costituzione) – come è emerso in questo periodo con la pandemia da covid 19,  incentivando e finanziando la ricerca -, ha il dovere di aiutare i meno abbienti, di garantire sicurezza, di assicurare il diritto allo studio e sensibilizzare l’iniziativa privata per lo sviluppo del lavoro, principio cardine della nostra Repubblica, come è detto nell’articolo 1 e cioè che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”.

Pertanto anche l’ultima importante riforma fiscale sopra menzionata, risalente al 1973, nonostante i numerosi ritocchi, si è, ormai, rivelata bisognosa di una revisione organica non più procrastinabile, per  tante buone ragioni, tra cui l’esigenza di far entrare nell’alveo della tassazione redditi che ne sfuggono per mancanza di presupposti soggettivi, oggettivi o di territorialità e per adeguarla alla evoluzione delle fonti di produzione di redditi, alle nuove tecnologie in uso, per snellire la burocrazia e per migliorare il rapporto fiduciario tra fisco e contribuente, non facile da contemperare visto il contrasto di interessi. Certamente ci sono molti aspetti da tenere presente, per armonizzare ed uniformare la tassazione dei redditi prodotti dai singoli titolari di capacità contributive, proprio al dettato dell’articolo 53, contestato da alcune forze politiche che sventolano formule diverse, quali una sola aliquota, battezzata flattax.

Certamente ci sono da affinare gli strumenti legislativi per recuperare credibilità e fare emergere tutti i produttori di reddito che fino ad ora si sono sottratti al fisco, conosciuti come evasori totali o anche per un solo cespite, con metodi elusivi. Occorre stabilire una tassazione personalizzata che tenga effettivamente conto della capacità contributiva, ma che sia anche analizzato e ben pesato questo concetto di capacità contributiva, inconciliabile con un “fisco socio in affari”. Il contribuente ha il fondamentale dovere di pagare le tasse, ma anche il diritto sacrosanto di fare una vita decorosa in virtù dei suoi sacrifici. La capacità contributiva deve derivare da una somma algebrica, la cui risultante, di massima, possa scaturire dalle differenze tra ricavi e costi sostenuti, ovvero dagli stipendi o salari dedotte le spese familiari, con eventuali opportuni adattamenti.

È moralmente riprovevole, oltre che lontano dal dettato costituzionale che dispone, nel suo secondo ed ultimo comma, che “Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”, quando esso si ferma alla soglia dei 75 mila euro e non contempla tassazioni diverse per i suoi numerosi multipli. Sono ben noti redditi fissi mensili, quali stipendi o retribuzioni varie di gran lunga superiore agli attuali 75 mila euro; la stessa riforma del 1973, quasi mezzo secolo fa, prevedeva un’ultima soglia oltre 550 milioni di lire, benché con una tassazione da brividi, del 72%.

Le forme di elusione la fanno da padrone anche con riferimento ai sotterfugi della residenza e del domicilio fiscale in località di comodo e con beni e capitali estero vestiti, in Paesi meglio noti come “paradisi fiscali”.

Sono, tra l’altro, maturi i tempi per far entrare nell’alveo della tassazione redditi o proventi fino ad ora esclusi dal campo impositivo, quali la prostituzione, di cui è vietato solamente lo sfruttamento ed il favoreggiamento, nonché altre attività reddituali ad essa assimilate o confinanti.

Sarebbe opportuno, altresì, superare, nell’ambito delle Commissione Tributarie, la limitazione sancita dall’articolo 102 della Costituzione, il quale afferma che: “Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali.” La complessa materia tributaria ha ramificazioni in altre branche del diritto, per cui occorrono sempre più preparazioni tecnico-giuridiche e conoscenze di elevati principi contabili non facilmente e rapidamente rimediabili con il ricorso a consulenti tecnici.

È anche auspicabile l’inclusione della responsabilità solidale in capo al commercialista per alcune fattispecie di evasione, elusione, specie se accompagnate in modo fraudolente con operazioni inesistenti che difficilmente potrebbero realizzarsi senza l’ausilio di menti esperte ed aggiornate sulla normativa fiscale e sulle tecniche contabili, di cui la più comune ed elementare è quella di aumentare i costi e contrarre i ricavi, ovvero con la contabilizzazione di costi non pertinenti.

È importante avvicinare l’obbligo giuridico della dichiarazione dei redditi in una fascia temporale non eccessivamente lontana dalla fine dell’esercizio fiscale, ormai riconosciuto coincidente con l’anno solare, al 31 dicembre, tenuto conto delle avanzate tecnologie e dei sistemi informatici che sono in grado a far anticipare tale adempimento fiscale.

Infine, il riconoscimento di totale detrazioni di alcuni costi a favore del privato non imprenditore, basati sulla logica dei contrapposti interessi, avrebbe molteplici effetti positivi, tra cui il miglioramento del rapporto fiduciario tra fisco e contribuente ed un allineamento al principio della capacità contributiva.

Un fisco onesto, obiettivo, trasparente, preciso e dal volto umano, imporrà al contribuente un simile comportamento, perché sarà educativo e di buon esempio, insieme alle sanzioni tempestive ed efficaci ai trasgressori.

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