mercoledì, 8 Maggio, 2024
costituzione
Editoriale

Eccomi…! Sono l’articolo 138 della Costituzione della Repubblica Italiana 

Il mio intendo non è quello di salire in cattedra, ma solamente di chiarire “chi sono io” e perché, il 20 e 21 settembre prossimi, il popolo italiano si recherà alle urne per votare, a livello nazionale, per il referendum popolare sul taglio del numero dei parlamentari dalla nostra Carta costituzionale, della cui revisione sono arbitro.

E le procedure dettate da me, articolo 138, sono le seguenti: “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”

Come si potrà percepire in seguito, la scelta del referendum popolare sembra sia stata fatta, esclusivamente, dal Senato della Repubblica, già nella sua seconda votazione, avvenuta l’11 luglio 2019 (votanti 230 su 321 senatori, favorevoli 180, contrari 50, assenti 91).

Il Senato, infatti, se non avesse raggiunto il quorum previsto (maggioranza assoluta dei componenti), avrebbe impedito, di fatto, il prosieguo della riforma;  mentre con la maggioranza di due terzi dei suoi componenti, cioè con 214 voti favorevoli, avrebbe riversato ogni responsabilità sulla Camera dei deputati. Erano, infatti,  sufficienti al Senato 34 altri voti favorevoli dai 50 contrari per avere la legge approvata a maggioranza dei due terzi e con i risultati dell’attuale seconda votazione alla Camera, con 553 favorevoli su 630 componenti, la legge costituzionale sarebbe stata sottratta a qualsiasi ipotesi di referendum popolare.

Anche nella prima votazione, al Senato, c’è stata una deliberazione quasi fotocopia della seconda (9 maggio 2019: favorevoli 185, contrari 54, astenuti 4, assenti 78) e ciò non è affatto irrilevante.

Emerge, in modo evidente, una avversione, al Senato, sul taglio del numero dei Parlamentari, probabilmente perché non ne sono condivisi tempi e modi con  forze politiche avversarie, ovvero, come si afferma da più parti, perché è ritenuta una riforma scollegate da tante altre in evidenza, quali la riduzione dell’età per l’elettorato attivo e passivo al Senato, di cui c’è, tra l’altro, l’intendo di riformarlo ovvero di sopprimerlo. C’è in evidenza la necessità della revisione del titolo V, maggiormente sentita per i conflitti di competenze tra Stato e Regioni, molto avvertite durante la persistente pandemia da coronavirus, nonché la voglia dell’elezione diretta del presidente del Consiglio, con la previsione della fiducia costruttiva. C’è, altresì, una visione di spostare la democrazia rappresentativa verso quella diretta, coinvolgendo la collettività nazionale ad una partecipazione sistematica e rilevante, rafforzando ed allargando l’uso dei referendum, come sostiene una forza politica, con una visione anche di elezione diretta del Presidente della Repubblica. Ma pretendere che sia il popolo sovrano a risolvere problemi così delicati e complessi, non avendo neanche tutte le informazioni ed elementi necessari per decidere, non è affatto un bell’esempio se non uno scarico di responsabilità verso il basso, il che è molto grave. Ha senso ancora la rappresentanza senza vincolo di mandato?

La legge, comunque, poteva sottrarsi, ancora una volta, al referendum se entro tre mesi dalla pubblicazione, dopo la seconda ed ultima votazione alla Camera, non fosse intervenuta alcuna domanda in merito. C’è stata, invece, quella dei tre parlamentari promotori che, con l’autorizzazione da parte della Suprema Corte di Cassazione e la successiva raccolta delle famose 71 firme,  sette in più oltre il quinto dei componenti del Senato, pari a 64, ha spalancato la porta al referendum.

È stata una iniziativa che ha impedito alla legge di essere promulgata e di garantire, con assoluta certezza, gli effetti della riforma nella successiva legislatura, mentre è spontaneo domandarsi perché questo ulteriore spostamento in avanti attraverso il referendum. Sono davvero  solamente questi 71 parlamentari che “hanno deciso di non decidere per far decidere” agli elettori il 20 e 21 settembre se confermare o respingere la riforma? 

E perché tanta responsabilità in capo agli elettori i quali sono martellati solamente per gli effetti apparentemente positivi che la riduzione del numero dei parlamentari comporta per le casse dello Stato se essa è contrastata da molti parlamentari?  A quanto ammonteranno i costi complessivi al termine di questo lungo travaglio legislativo iniziato col “contratto di governo del 18 maggio 2018?

Ci dicano le verità, anche se “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato” (art.67). Ma il parlamentare è cittadino come gli altri e “Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.( art.54)

E allora dai Signori parlamentari della Repubblica e dal governo intero i cittadini hanno il diritto di essere informati tempestivamente ed in modo completo e veritiero sulle tematiche che sono in agenda politica, specie quando si interviene su riforme così delicate i cui effetti si ramificano su tutte le Istituzioni dell’apparato statale, variandone, persino, gli equilibri dei “pesi e contrappesi” che sono alla base della democrazia. 

Per fortuna che l’articolo 139 afferma che “La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”. Ed io, articolo 138, mi sento, per queste affermazioni, particolarmente rincuorato, nonché sodisfatto per le mie informazioni e per le perplessità benché noiose, e spero che il popolo del referendum nei giorni 20 e 21 settembre 2020 possa, tranquillamente, votare “Si” oppure votare “NO”, perché ancora oggi “Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico.” (Art.48 Cost.)

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