venerdì, 26 Aprile, 2024
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Politica

Eccoli…! 64 + 7 senatori responsabili del referendum popolare

Se entro tre mesi dalla pubblicazione della legge il quinto dei membri del Senato non avesse fatto domanda per il referendum popolare avremmo avuto il Parlamento con i primi  345 disoccupati.

Ora, invece, chi ci crede che solamente 71 senatori abbiano avuto interesse a provocare il referendum?

Sono effettivamente 71 i Senatori della Repubblica che hanno dirottato al voto popolare, attraverso specifico referendum, la responsabilità legislativa del Parlamento, sui tagli dei costi della politica, per le modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione, riguardanti, rispettivamente,  la riduzione del numero dei Parlamentari da 630 a 400 alla Camera (art.56), da 315 a 200 al Senato (art.57) e per le circoscrizioni Estero, da 12 a 8 alla Camera e da 6 a 4 al Senato.

La modifica all’articolo 59 riguarda, invece, il numero dei senatori a vita di nomina presidenziale che, in futuro, non potrà in alcun caso essere superiore a 5, eliminando, così, le ambiguità di interpretazioni applicative avvenute in passato. Tutte le modifiche, se approvate, avranno effetti e decorrenza dalla data del primo scioglimento delle Camere.

Tali modifiche traggono origine dal “contratto di governo del cambiamento” stipulato il 18 maggio 2018 tra il Movimento 5Stelle – accanito assertore nelle lunghe campagne “anti casta“ – e la Lega, noto come Governo Conte I. Ora –  ironia della sorte – tale cammino legislativo  prosegue con altro alleato di governo, il PD, (Conte 2), anch’esso sostenitore della riduzione del numero dei parlamentari, benché con intendi di revisione della Costituzione con approccio diverso. Quella rivoluzionaria del dicembre 2016 venne respinta al mittente dal voto popolare.

È utile rammentare che la Costituzione, per sottrarsi a frettolose imprudenze, leggerezze o tentazioni di sorta, ha vincolato il legislatore, nei processi di revisione, al rispetto di specifici  tempi e procedure tassativamente  indicati nell’articolo 138, che così recita:

“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.

Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata, se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.

Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”

È bene sapere che tale referendum costituzionale è senza quorum, per cui vince il SI od il NO  che totalizza più voti validi e che le quattro complessive deliberazioni, ad intervallo dei prescritti tre mesi, sono avvenute con i  seguenti risultati:

Al senato, il 7 febbraio 2019, voti favorevoli 185, contrari 54, astenuti 4; maggioranza assoluta;

Alla camera, il 9 maggio 2019, voti favorevoli 310, contrari 107, astenuti 5; maggioranza assoluta;

In seconda deliberazione:

Al senato, 11 luglio 2019, voti favorevoli 180, contrari 50; maggioranza assoluta e, quindi, senza il raggiungimento dei due terzi dei componenti necessari per rendere inammissibili le richieste di referendum (art. 138, ultimo comma), in ragione del voto contrario espresso dai senatori del Partito Democratico e di Liberi e Uguali, a quella data all’opposizione del Governo Conte I e della non partecipazione al voto di Forza Italia.

Alla camera, l’8 ottobre 2019, i voti favorevoli sono stati 553, contrari 14, astenuti 2. A votare “SI” sono tutti i gruppi parlamentari di maggioranza e di opposizione, ad eccezione di alcuni componenti del gruppo Misto, raggiungendo, così, la maggioranza  dei due terzi dei componenti, ma non utile ad impedire il referendum per mancanza di analogo risultato al senato in seconda deliberazione come sopra evidenziato.

Pertanto, in data 12 ottobre 2019, terminato l’iter parlamentare con l’approvazione, la legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, Serie Generale, n. 240 e destinata alla promulgazione da parte del Presidente della Repubblica se entro tre mesi non vi fosse stata domanda del quinto dei membri del Senato, come si dirà meglio appresso. Si aggiunge, per dovere di informazione, che il Partito Radicale aveva avviato il procedimento per il referendum, mediante raccolta firme tra gli elettori che sospendeva dopo tre mesi, avendo raccolto appena  669 firme a fronte delle 500 mila previste.

Sono, invece, n. 71 Senatori – sette oltre la soglia minima del quinto, pari a n. 64 – che il 10 gennaio 2020 presentano domanda presso la Corte Suprema di Cassazione per sottoporre la legge a referendum popolare, a seguito di iniziativa promossa dai senatori Tommaso Nannicini del PD, Andrea Cangini e Nazario Pagano di Forza Italia. In verità i 71 senatori firmatari della richiesta di referendum appartengono a quasi tutti i gruppi parlamentari e partiti, con l’esclusione di Fratelli d’Italia e del gruppo “Per le Autonomie” (SVP-PATT, UV).

In particolare, risulta che 42 sono del gruppo parlamentare di Forza Italia Berlusconi Presidente-UDC, 10 del gruppo parlamentare Misto, 9 del gruppo parlamentare della Lega, 5 del gruppo parlamentare del Partito Democratico, 2 del gruppo parlamentare del Movimento 5Stelle, 2 del gruppo parlamentare di Italia Viva ed, infine, 1 Senatore a vita non iscritto ad alcun gruppo parlamentare; mentre hanno ritirato la propria firma 4 senatori di Forza Italia ed 1 del Movimento 5Stelle.

Sono giorni questi, fino al 21 settembre p.v., di grande tensione che vivono tutti i partiti e, man mano che si avvicina la data del voto, la campagna di informazione sul “SI” e sul “NO” è sempre più serrata, mentre incertezze e contrasti fanno ricorrere a consigli quali  “libertà di coscienza”,  “libera scelta”, “senso di  responsabilità “. Sta di fatto che in seno al PD, forza di governo insieme al Movimento 5Stelle, vi sono ancora tante cose da chiarire, compresa la legge elettorale, che creano divisioni, dissensi e contrarietà. Nel Movimento 5Stelle si incrociano, comunque, le dita, ma più di qualcuno è combattuto, soffrendo in solitudine, mentre qualche altro ha deciso di abbandonarlo. Per fortuna che il voto è segreto.

Ma la vera responsabilità è riversata in capo al popolo elettore, martellato da qualche tempo delle colpe della casta, dei costi della politica e degli esuberi di 345 parlamentari di cui si può fare a meno per due Camere con pari funzioni. La decisione, quindi, è nelle mani della volontà popolare che nei giorni 20 e 21 settembre dovrà decidere se fare un segno di croce sul “SI” o sul “NO” della scheda elettorale.

In questi giorni anche molte figure importanti, tra cui emeriti costituzionalisti, professori universitari di materie giuridiche ed ex politici hanno sentito la necessità di dire come intendono votare, dando vita a due scuole di pensiero, quella del “SI“ incondizionato e l’altra del “NO” motivato.

C’è  anche chi si spinge oltre nel dire che ”…non intende accondiscendere supinamente a manovre demagogiche e a riforme senza alcun significato” e chi, invece, ritiene che “…bisogna comunque dare un forte segnale ai nemici della casta” e chi dice “…più siamo e più democrazia c’è, ridurre il numero di parlamentari scatena le oligarchie di partito, col mito orwelliano del controllo della politica da parte dei pochi.”

In sostanza, se vi sarà prevalenza del “SI” il Presidente della Repubblica scioglierà la riserva con la promulgazione della legge, mentre se dovessero prevalere i “NO” non resta ad ogni forza politica che  prenderne atto e trarre le debite interpretazioni continuando ad interessarsi  degli  altri temi in agenda, alcuni dei quali sono legati all’esito delle contestuali elezioni delle sette Regioni e degli oltre mille  Comuni, mentre altre proposte di revisione della Costituzione sono in itinere.

È bene, comunque, ricordarci che la nostra Carta costituzionale ci è invidiata da tutti  perché è considerata la più bella del mondo.

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