giovedì, 28 Marzo, 2024
Salute

La salute è un dovere non solo un diritto

Siamo abituati a pensare alla tutela della salute come ad un nostro diritto. Giusto. L’art.32 della Costituzione lo sancisce con solennità:

La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.

Le conseguenze di questo principio sono enormi, prima fra tutte l’obbligo di di assicurare a tutti i cittadini della Repubblica, non di questa o quella Regione, che la salute sia uniformemente tutelata su tutto il territorio nazionale. Cosa che non avviene, per colpa della regionalizzazione della sanità che ha creato in Italia, di fatto, 22 Servizi sanitari locali al posto di un unico Servizio nazionale, che continua a definirsi così impropriamente data la Babele che è davanti ai nostri occhi.

La salute non è solo un diritto dell’individuo, di cui si deve far carico lo Stato, ma anche un interesse della collettività, quindi un impegno che incombe su tutti.

Sulla sanità come diritto nessuno oserebbe sollevare obiezioni. Ma quando si parla della salute come dovere le implicazioni sono enormi e non sempre ben considerate.

La pandemia di questi mesi ci obbliga a ridefinire la salute in termini di bene comune nei confronti del quale tutti abbiamo obblighi da rispettare.

Se una persona infetta ne contagia altre, questa reazione a catena finisce per danneggiare non solo chi si ammala ma l’intera comunità e, bloccando l’economia, provoca un crollo della ricchezza per tutti. I virus non conoscono differenze di classe sociale, di livello di istruzione o di potere. La salute di tutti dipende dalla salute di ciascuno di noi: c’è una condivisione obbligatoria.

E questa condizione non è solo all’interno di un Paese ma è mondiale. I virus superano ogni frontiera o muro. Per questo la salute deve essere considerata un bene comune verso il quale esiste un dovere collettivo mondiale, non solo locale o nazionale, se si vogliono evitare disastri come quello che stiamo vivendo.

Sul piano globale questo significa che istituzioni sovranazionali, come l’OMS, vanno ridisegnate, riorganizzate, potenziate, dotate di poteri non solo di indirizzo ma anche di intervento diretto per evitare che comportamenti sbagliati di uno Stato possano innescare un effetto mondiale devastante.

L’OMS dovrebbe definire standard universali di comportamento e parametri di classificazione e di valutazione dei dati relativi alle epidemie e pandemie, per poter meglio comprendere questi fenomeni complessi.

Inoltre bisognerebbe rafforzare la cooperazione internazionale degli Istituti pubblici e privati di ricerca, quando ci si trova di fronte a minacce così estese e gravi per la salute di tutti i popoli.

Se il mondo non sente il dovere di tutelare la salute comune di fronte ai casi di estese epidemie o di pandemie vuol dire che shock come quello che stiamo vivendo si verificheranno in futuro in maniera ancor più devastante.

Sul piano nazionale questo significa che il bene come della salute deve vedere un impegno corale dello Stato, dei cittadini e del mercato.

Il sistema sanitario pubblico nel fornire le sue prestazioni non può distinguere tra ricchi e poveri, tra semplici cittadini e classi dirigenti. Esso deve essere basato su un fondamentale principio di eguaglianza, per cui la tutela della salute viene garantita a tutti in egual modo e viene fornita gratis per gli indigenti.

La spesa sanitaria va razionalizzata, ottimizzata ma non falcidiata con il conseguente smantellamento della sanità pubblica a vantaggio di iniziative private. Esse devono integrarsi col sistema e costituire un pilastro complementare della sanità pubblica.

Ovviamente questo non significa che un privato a proprie spese non possa decidere di curarsi dove meglio crede. Ma la sanità privata, anche quella non convenzionata, deve avere comunque una responsabilità pubblica e di fronte a gravi problemi sanitari deve dare il suo contributo al di fuori della logica del profitto.

In quest’ottica tutte le aziende private e commerciali, anche quelle che non hanno a che fare con la sanità, dovrebbero sentirsi più direttamente coinvolte nel sostenere il sistema sanitario pubblico non solo con parte delle loro tasse ma anche con iniziative specifiche di collaborazione e di sostegno.

E poi c’è il ruolo dei cittadini.

Ognuno deve sentirsi responsabile della propria salute praticando comportamenti che non nuocciano agli altri e che, per i loro eccessi, non gravino più del dovuto sul sistema sanitario. Avere stili di vita sbagliati in un sistema sanitario egualitario e universale costituisce un danno per chi questi stili di vita non li ha.

Per questo occorrerebbe una formazione alla salute personale e collettiva che dovrebbe fin dalle scuole elementari insegnare che, se abbiamo diritto ad essere curati abbiamo anche il dovere di badare alla nostra salute per non danneggiare gli altri e il sistema sanitario.

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