sabato, 27 Luglio, 2024
Attualità

Dal caso Bari alla deriva giustizialista

Sul caso Bari ho già scritto, dicendo di un’occasione perduta dalla politica, per mettere in discussione e quantomeno rivedere l’istituto dello scioglimento delle amministrazioni democraticamente elette per infiltrazioni mafiose, sulla base di meri sospetti e del principio del “è più probabile che non”. Una legge – lo sintetizzo in termini chiari, perché non vi siano dubbi sulla mia personalissima (e come sempre opinabile) opinione – da Stato di Polizia, non di Diritto, manipolabile da chi detiene il potere, che consente provvedimenti gravissimi senza prove e anche se neppure si ipotizza alcun reato.

Ritorno sul tema perché gli sviluppi successivi mi sono parsi una deriva giustizialista e lo stravolgimento del principio costituzionale della presunzione di innocenza che, ribadito e proclamato essenziale solo pochi mesi fa, sembra essere già stato posto nel dimenticatoio non soltanto da ambedue i contrapposti schieramenti politici, ma anche dalle stesse istituzioni.

Tutti i soggetti coinvolti nella vicenda pugliese (che si è allargata a macchia d’olio) sono indicati come colpevoli certi. Il governatore Emiliano è passato da un talk show ad una intervista, rivendicando i suoi trascorsi di magistrato antimafia e sotto scorta, e giustificando il suo non essersi accorto di cosa gli avveniva attorno, perché non aveva gli strumenti di indagine per potere venire a conoscenza del malaffare. Non una parola di difesa per gli accusati, nessuna concessione alla presunzione di innocenza. Fino alla resa nei confronti della Schlein che ha imposto non una sostituzione soltanto dei soggetti direttamente coinvolti, ma un completo rinnovamento. Per carità, ovviamente, senza accettare lezioni di moralità da Conte, come si sono affrettati a dire molti rappresentanti del PD. Imposizione che, comunque, non deve essere stata di alcun sollievo per la segretaria PD, ancora afflitta dalle tre spine nel fianco acutamente rilevate dal nostro Direttore Giuseppe Mazzei, nel suo editoriale dello scorso mercoledì 10 aprile, “I dolori della giovane Elly”.

Atteggiamento giustizialista, per la verità, condiviso da tutta la sinistra che, in ossequio alla sua supposta superiorità morale, si guarda bene – salvo singole eccezioni – dal manifestare solidarietà ogni qualvolta si sollevi una qualsiasi accusa o sospetto verso un suo iscritto: cui il PD dà un immediato ostracismo morale, facendogli scontare da subito la pena dell’esclusione.

Da qui in poi, in verità, tutto diventa un posizionamento politico.

La Sinistra negando il “monopolio della legalità” rivendicato da Conte, potendo con tale atteggiamento giustizialista affermare la sua rigorosità morale (in realtà immorale e addirittura illegale nella negazione sostanziale del principio costituzionale della presunzione di innocenza). La Destra dal canto suo approfitta della contingenza, esaltando le accuse contro i suoi avversari, al solo scopo di potere affermare che il centro sinistra non può auto dichiararsi scevro da reati. E, devo annotare, proponendo norme giustizialista, basate sull’ aggravamento della pena e finalizzate a restringere le sfere di libertà e diritti individuali, con buona pace del sempre più innocuo Ministro Nordio, che tante speranze aveva suscitato al momento del suo insediamento.

Presunzione di colpevolezza e deriva giustizialista, esaltate addirittura da un organismo parlamentare come la Commissione antimafia che – con il voto di tutti, senza distinzione tra maggioranza (chi oserebbe porre in dubbio un sospetto di colpevolezza?) – addita “presunti innocenti” come “impresentabili”: sette candidati nella recente consultazione regionale in Sardegna; cinque in Basilicata.

Una comunicazione che, pur non avendo un valore interdittivo (la segnalazione di “impresentabile” non inibisce la candidatura: e non potrebbe essere diversamente), ha un significato molto più grave mostrando come la semplice cattiva fama sia una condanna; e viola, consentitemelo, i diritti civili e politici, di elettorato passivo ed attivo di soggetti cui lo stesso Stato che li ha qualificati “impresentabili” ha riconosciuto: e dovrebbe garantire.

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