sabato, 27 Aprile, 2024
Esteri

Venti di guerra nel Mediterraneo. Eni: una fine annunciata nel “Mare Nostrum”

I venti di guerra che soffiano sul Mediterraneo giocano a rialzare le tensioni di un conflitto che definisce i propri contorni in maniera sempre più decisa. La scorsa settimana la Francia ha accettato di inviare fregate da guerra nella parte orientale del “Mare Nostrum”, una decisione accolta dalla Grecia favorevolmente e denunciata dalla Turchia. L’asse Parigi-Atene gode oggi di ottima salute ed è stato recentemente rafforzato grazie all’accordo raggiunto in materia di accesso alle riserve energetiche, con i due paesi che perseguono un quadro più completo di difesa strategica. Lo spiegamento francese di navi da guerra può essere facilmente letto come un segnale per la Turchia, che in risposta, ha dislocato la propria marina nel Mediterraneo.Ma è la Libia l’oggetto del contendere con Francia e Turchia schierate una di fronte all’altra tanto che il Presidente francese Emmanuel Macron ha criticato pubblicamente (e pesantemente) il leader turco Tayyip Recep Erdogan per il crescente coinvolgimento di Ankara nel paese africano.

Mitsokatis e Macron

La potenziale abbondanza energetica nel Mediterraneo orientale ha portato ad un aumento delle tensioni in tutta la regione, dall’Europa sud-orientale al Nord Africa. E potrebbe non essere finita. Vasti depositi di gas naturale sono stati scoperti al largo dell’isola di Cipro, un paese segnato dalle divisioni dalla metà degli anni ’70 tra una maggioranza greco-cipriota e una minoranza turco-cipriota. Il Governo greco-cipriota, riconosciuto a livello internazionale, si è spinto in avanti, esplorando le acque circostanti alla ricerca di giacimenti di energia, in accordo con i colossi energetici Total (Francia) ed ENI (Italia)per proseguire nelle ricerche di gas naturale. La scoperta di riserve di idrocarburi nel 2009 ha esasperato le tensioni tra i paesi del Mediterraneo orientale, fino ad allora dormienti. La lotta per le esplorazioni energetiche e le licenze di produzione hanno messo in evidenza l’aspetto commerciale di questo conflitto geopolitico.

L’accordo stipulato tra la Turchia e il governo di accordo nazionale della Libia (GNA) stabilisce nuovi confini marittimi e ha contribuito ad alzare le tensioni tra Grecia e Turchia. L’intesa ha infatti ricadute su una serie di protocolli commerciali, legali e diplomatici oltre ai confini marittimi e alle potenziali rotte di approvvigionamento e spedizione. L’accordo firmato sul gasdotto “EastMed” stipulato da Grecia, Israele, Cipro e “benedetto” da Italia ed Egitto, ha proposto due schieramenti opposti, dove, a quest’ultimi si frappongono Turchia, Repubblica turca di Cipro del Nord (riconosciuta solo dalla Turchia) e GNA della Libia. Il progetto intende fornire gas israeliano nell’Europa meridionale attraverso la Grecia e Cipro. Tuttavia se Ankara, come è probabile, diventa determinante in Libia, impedirà all’Eni di svolgere la sua attività indipendente sia in Libia che nella porzione di mare che va dalla Libia a Cipro. Ancora una volta gli “Interessi” italiani non vengono sufficientemente sostenuti? Oppure l’attuale Esecutivo non ha il peso sufficiente per negoziare a “certi” livelli? E ancora, in questo scenario, nonostante l’incerta riconferma, cosa fa la leadership dell’ENI? Purtroppo domande apparentemente ad ovvia risposta.

In queste dinamiche puramente geo-economiche, la Libia resta stritolata nel mezzo, fungendo da campo di battaglia per interferenze straniere e interventi militari esterni. Il signore della guerra libico Khalifa Haftar ha finora goduto del sostegno degli Emirati Arabi Uniti, della Russia, dell’Arabia Saudita, dell’Egitto, della Giordania e della Francia, nonostante la propensione delle sue forze per omicidi indiscriminati e crimini di guerra. Il ruolo svolto dagli Emirati Arabi Uniti è stato particolarmente ambiguo, con Abu Dhabi che ha fornito droni e velivoli ad ala fissa ad Haftar e all’esercito nazionale libico (LNA). Gli Emirati, i russi e altri hanno così inondato la Libia di armi, in palese violazione dell’embargo imposto dalle Nazioni Unite.

L’LNA ha condotto una campagna militare spietata e distruttiva per conquistare Tripoli, capitale della Libia, uccidendo migliaia di persone, tra cui centinaia di civili e provocando centinaia di migliaia di sfollati. Critica anche la situazione delle infrastrutture, in particolare le vie di comunicazione, che oggi hanno sempre di più le sembianze di cimiteri a cielo aperto. La Turchia continua a sostenere il GNA in palese situazione di difficoltà, fornendo supporto militare e aiutando ad orchestrare mercenari siriani sul campo di battaglia.

Il contributo più significativo di Erdogan sarà, se ne sarà capace, contribuire a raggiungere una tregua per il tempo necessario a negoziare “un cessate il fuoco” o un accordo di pace. Nel frattempo, continuerà a portare avanti gli ambiziosi programmi di sfruttamento delle risorse energetiche libiche. In tutto questo scenario gli USA, apparentemente, tacciono, sempre più sacrificando il proprio ruolo di mediatore internazionale “ben pagato”. La domanda che sorge spontanea è : La politica dell’Amministrazione Trump, ormai in ritirata, pagherà in futuro sia per gli americani stessi che per il continente europeo?

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