giovedì, 25 Aprile, 2024
Manica Larga

La guerra dei microchip all’ombra di Taiwan

Una fetta importante degli equilibri geopolitici futuri passa da tecnologia e innovazione sulla rotta USA-Cina. I nervi sono tesi. La disputa vede i primi imporre una serie di misure contro l’industria cinese produttrice di semiconduttori o microchip, piccoli pezzi di tecnologia che alimentano tutto, dalle microonde alle armi militari, e investire miliardi di  dollari per rafforzare il settore americano. I secondi fare leva sul vantaggio competitivo di possedere i principali giacimenti di terre rare necessarie alla produzione.

Sullo sfondo, il grande convitato di pietra ha l’ombra di Taiwan, dove si fabbrica il 90% dei semiconduttori del mondo. Perchè se da un lato annettendo l’isola il dragone diventerebbe autosufficiente, e quindi militarmente pericoloso, dall’altro gli Stati Uniti vogliono impedire che ciò accada e quindi   hanno intensificato l’azione protezionista sbloccando centinaia di miliardi di dollari in sussidi necessari a supportare le industrie strategiche locali. Come, per esempio Apple, che non solo ha annunciato un accordo pluriennale per lo sviluppo di componenti per il 5G in America, ma che sta anche ridisegnando la propria catena di approvigionamento preferendo Vietnam e India alla Cina, oltre ad annunciare l’intenzione di realizzare l’iPhone 14 in India e ad aprire il primo store monomarca a Mumbai, il centro degli affari indiano.

Chi rincorre e chi rischia di essere tagliato fuori

 Il resto del mondo prova a non restare alla finestra e a posizionarsi. Il Regno Unito, per esempio, ha annunciato che investirá 1 milione di sterline nel settore dei semiconduttori nei prossimi dieci anni. Tuttavia la mossa è stata bollata come fallimentare dagli analisti: too little, too late per sperare di avere un peso a livello internazionale, come vorrebbe il primo ministro Rishi Sunak, nonostante si tratti di un settore considerato tra i fiori all’occhiello dell’industria britannica. L’Europa ha annunciato un pacchetto di norme, lo European Chip Act, per incrementare del 20% la produzione di semiconduttori entro il 2030 e ridurre così la dipendenza da attori terzi nei processi di digitalizzazione.

L’Africa rischia di essere tagliata fuori. In una brillante analisi, Jonathan Munemo, professore di economia dell’Università di Salisbury, ha sottolineato come “La politica industriale protezionista di Washington (…) sta esacerbando la frammentazione dell’economia globale (…) e lo sta facendo fratturando i flussi commerciali e di investimento sulla base di considerazioni geopolitiche. Di conseguenza, l’integrazione economica globale viene invertita. (…) Ciò potrebbe avere conseguenze negative di vasta portata per i paesi africani”. Infatti, “quasi tutti sentiranno l’impatto di un’inflazione più elevata a causa della riduzione della produzione globale in un mondo meno produttivo”.

E si sa che povertá e flussi migratori vanno mano nella mano. 

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Redazione

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