venerdì, 29 Marzo, 2024
Società

La pensione, ammortizzatore sociale

Un tempo, la pensione serviva a sostenere chi, avendo smesso di lavorare, non disponeva più di un reddito da lavoro dipendente o autonomo.

Negli ultimi due decenni, invece, la pensione serve non solo mantenere chi la percepisce ma anche i membri della famiglia di cui egli fa parte e che non hanno reddito sufficiente.

In pratica, la pensione dei vecchi serve mantenere anche i giovani. E questa non è bella notizia.

È un indicatore di una serie di distorsioni della nostra società che non possono essere ignorate.

La prima stortura riguarda lo sbilanciamento che c’è tra persone oltre i 50 anni e giovani. L’Italia sta invecchiando e non solo perché -per fortuna- si vive più a lungo, ma soprattutto perché non si mette al mondo più il numero di figli necessari per evitare la decrescita demografica.

Un Paese invecchiato e senza giovani è necessariamente un Paese che si impoverisce, che perde capacità di innovarsi e che ha una produttività carente.

La seconda distorsione riguarda l’aumento preoccupante della disoccupazione giovanile collegata in gran parte al baratro che c’è tra il sistema scolastico e universitario e il mondo del lavoro: sono due mondi che vivono vite parallele.

Scuola e università non sono sintonizzate sulle esigenze di un mercato del lavoro in continua evoluzione con professioni nuove che emergono come funghi e vecchie che vanno rapidamente in desuetudine, fenomeno che si accentuerà con il progredire dell’Intelligenza Artificiale.

Domanda e offerta non si incontrano: ci sono tanti posti di lavoro che rimangono liberi perché non ci sono giovani che abbiano la preparazione adeguata per occuparli e ci sono tanti percorsi formativi che non trovano riscontro nelle esigenze della produzione di beni e servizi, con tanti giovani laureati e con Master che stanno a spasso perché il loro percorso di studi non interessa a nessuno.

La terza distorsione riguarda le retribuzioni eccessivamente basse con cui vengono remunerati i giovani che riescono a trovare faticosamente un lavoro. Prima che queste retribuzioni raggiungano un livello di decenza, i giovani lavoratori devono aver ampiamente superato i 30 anni dopo un precariato malpagato e che dura a volte un decennio.

La quarta e ultima stortura riguarda l’elasticità a senso unico del nostro mercato del lavoro che negli ultimi anni ha visto aumentare quella in uscita senza che ci fosse una pari flessibilità in entrata. Succede così che chi perde il lavoro, soprattutto nella fascia dai 48/50 in su, difficilmente riesce a reinserirsi. E questo dipende da due elementi: l’assenza di una formazione continua che aiuti i lavoratori ultraquarantenni ad aggiornarsi e a prepararsi anche per nuovi tipi di attività e la superficialità con cui le aziende cercano di mandar via “risorse umane” senza aver prima provato a riqualificarle e ad inserirle in nuovi ruoli e processi.

Questo groviglio di fattori genera il fenomeno di nuclei familiari che dispongono di redditi sempre più esigui, dovendo continuare a sostenere i figli oltre i 25/30 anni di età, in presenza di salari e stipendi bassi e spesso di genitori disoccupati o non adeguatamente occupati.

La pensione diventa così l’unica certezza e l’unico reddito certo. Poiché queste pensioni sono state in gran parte erogate con i vecchi metodi vantaggiosi, si tratta di assegni ancora di buon livello e che si comportano come un ammortizzatore sociale.

Coloro che hanno pensato di tagliare in maniera brusca le pensioni non hanno mai considerato che se la loro follia si fosse tradotta in legge, tante famiglie non avrebbero potuto più contare neanche sulla buona pensione del nonno per sopperire agli scarsi redditi e all’occupazione precaria.

Ovviamente la pensione non è la soluzione del problema. Ma serve ad evitare una catastrofe sociale, dando un po’ di tempo ai politici per intervenire sulle 4 storture che abbiamo descritto. Il guaio è che non la fanno…

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