giovedì, 25 Aprile, 2024
Ambiente

Plastic Tax, costi elevati e carenza di impianti

“La plastic tax non ha finalità ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti, e rappresenta unicamente un’imposizione volta a recuperare risorse generando nell’immediato ingenti costi a carico di consumatori, lavoratori e imprese”. Critica e senza appello, con motivazioni tecniche e ambientali precise, è la risposta di Confindustria alla tassa sulla plastica decisa dal Governo che entrerà in vigore a partire da luglio 2020. La tassa a giudizio degli industriali rappresenta una nuova spesa per le imprese e quindi per le famiglie, – anche se dopo le polemiche, la tassazione è stata ridotta a 45 centesimi a chilogrammo di materia plastica -. Con la plastic tax tuttavia, l’Italia non fa altro che adeguarsi alla direttiva Europea del 2019, con lo scopo di ridurre l’incidenza dei prodotti di plastica monouso, quelli che maggiormente inquinano le spiagge e i mari dei paesi dell’Unione. Dall’incasso della plastic tax lo Stato riceverà 140 milioni nel 2020 mentre nel 2021 l’introito stimato supera di poco i 521 milioni. A spiegare le motivazioni del no di Confindustria è Marcella Panucci, direttore dell’Associazione. “Le considerazioni degli ultimi tempi in merito al futuro della plastica impongono una riflessione significativa, soprattutto quando vengono avanzate proposte restrittive, vincolanti e che impongono oneri ingiustificati al sistema produttivo.

È il caso della plastic tax che, così come proposta nella Legge di bilancio 2020, non ha finalità ambientali, penalizza i prodotti e non i comportamenti, e rappresenta unicamente un’imposizione volta a recuperare risorse generando nell’immediato ingenti costi a carico di consumatori, lavoratori e imprese”, osserva Marcella Panucci, “in particolare, penalizza una filiera, quella delle materie plastiche, che per il solo settore della trasformazione ha rappresentato nel 2018 poco meno di 3mila aziende, 50mila occupati e 12 miliardi di fatturato, è la seconda industria in Europa e può contare su eccellenze nel campo della ricerca e dell’innovazione, sia a livello di prodotto sia di processo”. Tra i prodotti in plastica sui quali si concentra maggiormente il dibattito pubblico e che sono oggetto della plastic tax vi è sicuramente l’imballaggio: “anch’esso visto, ormai da tempo, come un problema ambientale a causa della non corretta gestione del fine vita”, spiega la Panucci che sottolinea anche come in Italia il sistema e gli impianti di trattamento (e non le imprese), sono in ritardo.

“Con la plastic tax si assume che riducendo l’immissione al consumo di un materiale si possano risolvere le difficoltà connesse alla corretta gestione del fine vita, senza comprendere che tali difficoltà rimarranno fin quando non si affronteranno le criticità di contorno”, sottolinea l’esponente di Confindustria, “Queste sono legate a un quadro di riferimento normativo e autorizzativo e a una dotazione impiantistica assolutamente insufficiente per un Paese che ha l’ambizione di restare leader in Europa nell’economia circolare. Inoltre, senza risolvere i problemi sul fine vita, se ne andrebbero a creare degli altri legati alla corretta conservazione delle merci, all’efficienza della logistica e distribuzione e agli standard su salute e sicurezza che gli imballaggi in plastica sono in grado di garantire”.

A partire da queste considerazioni, Confindustria è “fermamente convinta”, osserva in modo chiaro il direttore di Confindustria, “che una delle principali leve per realizzare un vero sviluppo sostenibile sia il completamento della transizione verso il modello economico circolare, che sicuramente non si ottiene attraverso politiche di divieti, bandi o tassazione di materiali. In questo senso i rifiuti costituiscono una enorme riserva di risorse che, se opportunamente gestita e valorizzata, può garantire un approvvigionamento sostenibile e continuo negli anni di materiali ed energia”. A riprova l’Associazione degli industriali elenca i dati sottolinenando le carenze infrastrutturali.

“Infatti, nonostante in dieci anni il riciclaggio dei rifiuti di plastica sia aumentato di quasi l’80% (dal 2006 al 2016 i volumi di rifiuti plastici raccolti per il riciclaggio sono aumentati del 79%, il recupero di energia aumentato del 61% e l’uso della discarica è diminuito del 43%), ad oggi il 37% di rifiuti plastici ancora finisce in discarica e rappresenta un valore perso enorme che purtroppo non possiamo cogliere e rimettere nell’economia perché mancano le infrastrutture e gli impianti di trattamento”. “Occorre intervenire, quindi, per assicurare un quadro legislativo chiaro e stabile”, propone la Panucci, “e puntare a standard qualitativi diffusi della raccolta differenziata come presupposti per creare un vero e proprio sistema industriale per la raccolta, il riciclo e il recupero energetico”. Oltre a norme e aperture alle esigenze delle imprese serve un cambio di strategia e quindi la realizzazione di una filiera di impianti di trattamento e smaltimento.

“Allo stesso modo, è assolutamente necessario adeguare gli impianti del nostro Paese”, sollecita Marcella Panucci, “e promuovere lo sviluppo delle tecnologie a partire dall’eco-progettazione, che può contribuire a ridurre la produzione di rifiuti, al riciclo, sia meccanico, sia, soprattutto, chimico. E in tal senso non saranno tasse e divieti a sopperire alle carenze infrastrutturali del Paese, soprattutto se il gettito delle imposte non viene reimpiegato come sostegno agli investimenti sostenibili delle imprese.

Piuttosto, è quanto mai auspicabile”, conclude il direttore di Confindustria, “puntare su misure decise e concrete quali incentivi, contributi e agevolazioni normative per gli investimenti, a partire dall’ambito della ricerca e innovazione fino a un vero e proprio piano industriale che possa innalzare la capacità impiantistica virtuosa del Paese”.

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