venerdì, 26 Aprile, 2024
Politica

Ricostruiamo la politica dalla legge elettorale

“Per garantire stabilità ai governi il rimedio migliore rimane quello in vigore in Germania: non si può votare la sfiducia ad un governo se contestualmente non se ne costituisce un altro. Pertanto proporzionale con sbarramento e sfiducia costruttiva è oggi la migliore ricetta per mettere ordine nel caos del sistema politico italiano.”

Così concludeva su queste pagine il Direttore Giuseppe Mazzei un interessante articolo di giorni fa, dal titolo “Lavori in corso e polemiche nelle coalizioni. Le scosse di assestamento tra i partiti pesano sul ritorno al proporzionale”.

Concordo in pieno e ringrazio Mazzei per la capacità di sintesi.

Questa invocazione al ritorno al proporzionale, e ad un proporzionale equilibrato e costruttivo, non nasce, come spesso è accaduto in questi anni, da quando è finita la cosiddetta prima repubblica, da spinte interessate di parte, da maggioranze periodiche che intendano mettere al sicuro la propria sopravvivenza, o da ceti politici che vogliano assegnare alle segreterie dei partiti ogni scelta utile, escludendo l’elettore da ogni possibile decisione. Il mio riferimento alla legge attuale è di tutta evidenza, le segreterie scelgono i candidati per i collegi uninominali e impongono la posizione delle candidature nelle liste bloccate, con arroganza del potere ma anche con inquietanti segnali di decadenza del costume politico, leggibile a chiare lettere ad esempio nell’assegnazione della candidatura a un personaggio minore e discutibile ma facoltoso, nel miglior collegio cittadino, di centro città, dove quel partito è più forte.

Sere fa ascoltavo un intervento di Romano Prodi in un talk show nazionale e sono rimasto basito. L’uomo che è stato il più colpito dal bipolarismo che non c’è, dalla grande menzogna che un sistema bipolare in Italia con legge maggioritaria avrebbe garantito stabilità, propone oggi una sorta di legge elettorale maggioritaria del Sindaco d’Italia con doppio turno alla francese, affermazione che equivale al confessare: «Signori, c’ero ma non ho capito!».

È di tutta evidenza che la frammentazione e la crisi della politica oggi in Italia ponga tre problemi precipui: 1. riconsegnare agli elettori la decisione sulla composizione delle aule parlamentari, oggi decidono i partiti e i comitati elettorali; 2. far emergere la reale forza dei partiti, con i correttivi indicati da Mazzei per razionalizzare la fonte del voto e avere reali rappresentanze popolari in Parlamento; 3. fondare la composizione di un governo di inizio legislatura sulla condivisione di un programma. Basta aggregati di ceto politico litigioso e irresponsabile, i gruppi parlamentari e le segreterie dei partiti che intendono allearsi dicano a chiare lettere perché formano un governo e con quali obiettivi intellegibili e condivisi. Lo facciano in modo trasparente davanti all’opinione pubblica, ascoltino la società, la scienza, la cultura, i portatori d’interessi e i corpi sociali intermedi, sottoscrivano un patto e poi a lavoro assumendo piena responsabilità davanti agli elettori, fuori da ogni possibile nebulosa ideologica o partitocratica, sul rispetto del loro impegno.

Nel nostro Paese soffriamo un forte deficit di qualificazione della democrazia e dell’élites, esso può essere superato investendo su questi assi fondamentali:

chi va a governare deve farlo in tutta chiarezza e dentro una dialettica autentica con il Paese, sia in termini di correttezza delle regole elettorali, sia in termini di reale conoscenza dell’Italia profonda e di dibattito con le forze vive del Paese;

la laicizzazione del lavoro politico intorno ad un programma condiviso consentirà una più autentica responsabilità delle proprie azioni personali e di gruppo;

un processo durevole in questa direzione consentirà la selezione del ceto politico, che è saltato da decenni in Italia. La democrazia è la miglior forma di governo solo e se la comunità nazionale è in grado di costruire i suoi gruppi dirigenti, dal mondo del lavoro (superamento del familismo nelle assunzioni e nelle carriere; i giovani migliori non devono lasciare il Paese) alla formazione e selezione in politica dei quadri intermedi e delle funzioni apicali, nelle formazioni politiche e nelle istituzioni. Quest’ultimo compito nel dopoguerra lo adempivano i partiti politici nati dalla Resistenza e dalla Costituzione Repubblicana, oggi è tutto da ricostruire;

la politica è da ricostruire ma non si può più farlo dentro i partiti politici, bisogna farlo all’interno di un riequilibrio dell’intero impianto democratico, e da dove cominciare se non da regole corrette della rappresentanza, poi un progetto di governo che sappia unire il Paese, riducendo all’irrilevanza le tante mostruosità nate nei partiti in assenza della Politica.

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