venerdì, 26 Aprile, 2024
Il Cittadino

La trentaduesima dose

Ci accingiamo ad affrontare il terzo inverno in compagnia del coronavirus Covid-19, dopo quelli del 2019-20 e del 2020-21. Eppure, nonostante l’esperienza nostro malgrado maturata, nonostante i morti che ciascuno di noi piange (io un amico molto caro e tre buoni conoscenti) ho la sensazione che la malattia non sia stata pienamente compresa e che l’atteggiamento verso la stessa – sotto alcuni aspetti più dogmatico che concreto – sia viziato dalla nostra presunzione di uomini moderni che riteniamo di avere acquisito il controllo pieno della nostra vita.

Di ciò vorrei parlare, quasi intimamente, confidando e affidando alcuni miei pensieri ai miei quaranta originari lettori: praticamente scritti su misura per loro, essendo i soli che ritengo possano essere interessati: per affetto verso di me o per amore di dibattere, contraddicendomi.

Innanzitutto vorrei affermare una realtà che nessun virologo o epidemiologo, nessuno dei “guru”, qualificati o improvvisati, che quotidianamente dalla televisione ci dicono tutto il contrario di tutto sul Covid-19, riesce a dire in maniera chiara.

Il Covid-19 è un virus. Sia esso l’evoluzione naturale di un altro virus o una deviazione derivante da esperimenti umani, esso c’è e con esso l’essere umano dovrà convivere d’ora in poi: come il virus dell’influenza e altri virus che danno origine a decine di malattie virali, gravi e meno gravi, non scomparirà, muterà e si potrà solamente cercare di attenuarne gli effetti o la contagiosità.

L’essere umano del 2021 è convinto, sotto il profilo medico e scientifico, di conoscere tutto e di potere solamente compiere ulteriori scoperte per migliorare le tecniche di prevenzione o di cura delle malattie. Di ognuna, comunque – con la sola eccezione di misteriose malattie rare che colpiscono alcune unità di individui sugli otto miliardi circa di persone viventi (e, crudelmente, non si fa ricerca, perché commercialmente irrilevanti per l’industria farmaceutica) – la scienza riteneva di conoscere il modo di affrontarle.

Il Covid-19 ha determinato un autentico panico: una malattia sconosciuta, facilmente trasmissibile per via aerea, che proprio per la mancanza di un protocollo terapeutico poteva portare nei casi più gravi (degenerazioni polmonari) all’ intasamento dei reparti di terapia intensiva.

Così, nonostante la bassa mortalità rilevata (certo non paragonabile a quella dei tumori o delle malattie della circolazione, ma ben più alta della normale influenza), l’essere umano ha bloccato il mondo: quasi totalmente nei primi quattro mesi del 2020, con riaperture estive e chiusure invernali, come quelle che si preannunciano ora per la terza volta e determinando limitazioni senza  precedenti, che sfidano i principi giuridici: dove il sacrificio di libertà per esigenze sanitarie era previsto, ma pensando alla breve durata, non ad una emergenza che dura da due anni e che verrà prorogata fino all’estate 2022: periodo che non è più un’emergenza, ma una contingenza.

La presunzione umana di controllare la natura, la vita e la morte e di rapportare qualsiasi evento naturale ad un comportamento umano colposo o doloso ci ha portato a una irrazionalità assoluta. Non si accettano più gli eventi naturali: non c’è alluvione, terremoto, frana in cui non si cerchino colpevoli. L’uomo presume che tutto debba essere previsto. Fosse vero ciò si dovrebbe arrestare il geniale fondatore di Venezia, che non ha previsto che la città possa sprofondare nella laguna. O arrestare i locresi che prima di me si innamorarono della rupe di Tropea (io anche di una tropeana) e diedero origine al Borgo dei Borghi 2021 che però è a pericolo di frana.

L’approccio irrazionale col Covid-19 a mio avviso è dato proprio dalla presunzione di poterlo sconfiggere. Si è fermato il mondo praticamente imponendo il divieto di morire per una malattia sconosciuta. Razionalmente se si fossero voluti evitare alcuni milioni di morti all’anno – più di quelli da Covid, probabilmente – si sarebbe potuto vietare la circolazione stradale. Il paragone a me pare pienamente calzante: chiunque va in auto può avere un incidente, anche se usa tutta la prudenza, come chiunque viva in questi anni può prendersi il Covid, nonostante ogni cautela; una piccola percentuale di quelli che hanno un incidente stradale, così come una piccola percentuale di quelli che contraggono il Covid, muoiono.

Ecco io credo che come, per vivere, si accettano i morti per incidenti stradali (evitabili con un divieto) così, in omaggio alla vita, si deve accettare la convivenza consapevole col Covid-19.

La stragrande maggioranza dei cittadini italiani – una percentuale quasi da Plebiscito (il 2 giugno 1946 votarono l’89,08% degli aventi diritto, circa come i vaccinati) – ha osservato le prescrizioni sanitarie molto contraddittoriamente “indicate” dal Governo e si è diligentemente vaccinata, magari anche inconsapevolmente; si è anche sottoposta o sta sottoponendosi alla terza dose: compreso il sottoscritto che la riceverà nella settimana entrante.

Il vaccino non debellerà il Covid. Esso come il virus della normale influenza resisterà e muterà continuamente. L’uomo potrà inseguirlo, adeguando ogni anno il vaccino. Ma non dovrà imporre limitazioni alla libertà. Io che sono pro-medicina, e che mi vaccino anche contro l’influenza, farò la terza dose e, sperando di arrivare ai cento anni (che presunzione!) prenoto anche le altre trentadue dosi da qui al 2053.

Ma, miei quaranta amici, vi assicuro, non pretendo di dominare la vita e recito sempre il verso del Cantico delle Creature di San Francesco: «Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare». Ma fino ad allora vorrei vivere, non rinchiudermi in un antro per paura del Covid-19.

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