giovedì, 25 Aprile, 2024
Politica

C’è ancora l’amico americano?

Quanto conta l’Italia per gli Stati Uniti? Quanto contano gli Stati Uniti per l’Italia?

Sono due domande, facce di una stessa medaglia, cui non si può rispondere che allo stesso modo.

L’Italia è stata sempre considerata dagli Stati Uniti un alleato, forse un po’ bizzarro, ma a suo modo fedele e comunque indispensabile per garantire la solidità del fronte sud della NATO. 

A differenza di Spagna, Portogallo e Grecia il nostro è sempre stato dal dopoguerra in poi un Paese democratico con un’economia che, dopo il boom degli anni ’50 e ’60, si è piazzata nel salotto buono delle grandi potenze. Essendo immersa per tre quarti nel Mediterraneo l’Italia è stata considerata un baluardo fondamentale per la difesa degli equilibri internazionali nell’ottica dell’Alleanza Atlantica. E anche se qualche volta, per convenienze occasionali o per tutelarci da minacce terroristiche, la nostra politica estera è stata ambigua, essa non ha mai messo in discussione il rapporto con gli Stati Uniti.

I partiti tradizionali, quelli spazzati via con la fine della Prima Repubblica, erano soliti intrattenere rapporti stretti con il Governo americano e questo garantiva un flusso di informazioni costante tra Roma e Washington che serviva a stabilizzare le relazioni bilaterali e ad enfatizzare anche il ruolo dell’Italia rispetto a quello di altri partner europei.

Anche nei momenti più difficili, come gli anni del “compromesso storico”, il legame tra USA e Italia non è stato mai incrinato e, nella sostanza, non lo fu neanche con l’incidente di Sigonella, il cui peso simbolico fu esagerato da entrambe le parti.

Per l’Italia gli Stati Uniti hanno sempre rappresentato un punto di riferimento essenziale, un interlocutore da rispettare e da cui essere rispettati, in un’ottica di collaborazione all’insegna della difesa dei valori di libertà, di democrazia, del libero mercato e di un equilibrio geopolitico delicato ma da preservare a tutti i costi.

Con l’avvento di Berlusconi nel 1994 e l’alternanza di governi di centrosinistra, i rapporti con Washington hanno continuato a marciare sui binari tradizionali anche se senza l’entusiasmo di un tempo. Nel frattempo l’Europa con la moneta unica è diventata un’ancora più vicina e robusta per l’Italia. Il rapporto tra i due Paesi si è forse affievolito ma mai si è interrotto o è trasformato in reciproca indifferenza o, peggio, diffidenza.

Alcune scelte sono apparse contraddittorie: da un lato quella di Berlusconi favorevole al gasdotto Southstream (non gradito a Washington) e quella di D’Alema che, per converso, concesse alla NATO le basi per il bombardamento della Serbia senza copertura delle Nazioni Unite.

Con la crisi parallela di Forza Italia e del Pd e l’irruzione sulla scena dei populismi tutto è sembrato saltare per aria. 

Nel 2013 l’exploit dei 5 stelle fu salutato con interesse da Washington che non disdegnò di dare credito eccessivo al partito di Grillo. Nel frattempo l’ascesa della Lega ha creato un altro strano interlocutore per gli Stati Uniti: un partito che ha sottoscritto un accordo di consultazione con il partito Russia Unita vicino al presidente Putin.

Il massimo della confusione è stato raggiunto col governo gialloverde formato da due partiti che non avevano più negli Stati Uniti il punto di riferimento, anzi…Il Movimento 5 stelle guardava alla Cina, con cui sottoscriveva accordi per la BRI, il partito di Salvini era sempre più di casa a Mosca e questo certamente non poteva far piacere al Dipartimento di Stato.

Avere in Italia al governo due partiti che scelgono come punti di riferimento due avversari degli Stati Uniti comporta, nei fatti, una rottura con la storica posizione del nostro Paese. Di questo, tardivamente, a Washington devono essersi resi conto. Vedremo con quali conseguenze. 

Qualcuno deve essersi distratto di qua e di là dell’Atlantico. 

Di qua abbiamo leader che non hanno memoria storica e che si muovono con irresponsabile disinvoltura nello scacchiere internazionale senza ben valutare le conseguenze delle proprie azioni. Non andando più a Washington come facevano i loro predecessori della Prima Repubblica, questi nuovi leader si privano di informazioni, di conoscenze, di analisi e di rapporti strategici senza dei quali la politica estera dell’Italia sembra una nave allo sbando.

Di là dell’Oceano devono riflettere sul perché abbiano perso il contatto con la realtà politica italiana e non abbiano oggi un interlocutore davvero affidabile nello scenario politico.

È necessaria un’ampia riflessione autocritica che dovrebbe vedere anche i vari centri studi di politica internazionale, gli esperti di studi strategici e le persone di buon senso dedicare maggiore attenzione al tema dei rapporti bilaterali tra Italia e Stati Uniti per evitare a noi e a loro di continuare a commettere errori imperdonabili.

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