Un nuovo colpo al commercio globale rischia di abbattersi sull’economia italiana. Il possibile innalzamento dei dazi statunitensi fino al 30% su una vasta gamma di beni importati dall’Unione Europea, minacciato dalla nuova amministrazione americana, rappresenterebbe uno shock economico dalle proporzioni significative per l’Italia. A lanciare l’allarme è Confindustria, che nel suo report di luglio stima in 38 miliardi di euro la perdita potenziale dell’export italiano verso gli Stati Uniti. Una contrazione che equivale al 58% del totale delle esportazioni italiane dirette negli Usa, ovvero il 6% dell’export complessivo nazionale. Ma la vera preoccupazione arriva dalla proiezione sull’impatto macroeconomico: nel 2027 il Pil italiano risulterebbe inferiore dello 0,8% rispetto al suo percorso atteso, con ricadute su produzione, investimenti, occupazione e consumi.
Dopo l’annuncio dell’entrata in vigore dei dazi al 10% lo scorso aprile, il rischio di una loro estensione fino al 30% a partire dal 1° agosto ha scatenato una nuova ondata di incertezza. I settori interessati sarebbero numerosi: dall’automotive all’agroalimentare, passando per metalli, prodotti industriali, macchinari e semilavorati.
Manifattura sotto pressione
Ma il punto più critico riguarda la combinazione tra nuove barriere tariffarie e svalutazione del dollaro. Il cambio euro-dollaro, infatti, ha toccato quota 1,17 in media a luglio, in netto rialzo rispetto ai valori di inizio anno. Tradotto: i beni europei diventano più costosi per i consumatori americani, aggravando l’effetto dei dazi. “Ci troviamo di fronte a una dinamica perversa – spiegano dal Centro Studi Confindustria – in cui il potere d’acquisto degli americani sui prodotti italiani si riduce, mentre le imprese italiane vedono erodersi i margini di competitività proprio in un momento in cui servirebbero investimenti e apertura dei mercati”.
L’impatto previsto da Confindustria non è solo teorico. Le simulazioni, basate sull’ipotesi che i dazi diventino permanenti, indicano un effetto moltiplicatore su tutta la filiera manifatturiera. L’export italiano negli Usa verrebbe più che dimezzato, con ripercussioni profonde su comparti a forte integrazione transatlantica.
L’incertezza si diffonde
Tra questi, la meccanica strumentale, che rappresenta una delle eccellenze italiane, ma anche l’alimentare (dove già si segnalano cali a doppia cifra su olio, formaggi e conserve), e il design e arredo, settori nei quali il valore aggiunto non riesce più a compensare l’effetto dei costi crescenti. Secondo lo studio, il 4% della produzione manifatturiera italiana risulterebbe compromessa. Inoltre, gli investimenti in macchinari e impianti potrebbero calare dell’1% entro il 2027, rallentando la modernizzazione dell’apparato industriale proprio mentre l’innovazione è cruciale per restare competitivi.
A livello di consumi interni, la dinamica non è migliore. L’indice di incertezza economica negli Stati Uniti è raddoppiato nei primi sei mesi del 2025, e con esso è cresciuta anche l’instabilità globale. Questo clima di sfiducia si riflette anche sui comportamenti delle famiglie italiane: più risparmio precauzionale, meno spese, e consumi stagnanti.
Serve una strategia alternativa
Nel secondo trimestre, infatti, i consumi delle famiglie italiane sono cresciuti solo dello 0,2%, a fronte di un aumento del reddito reale dello 0,9%. La spinta derivante dal contenimento dell’inflazione e dal calo dei tassi di interesse non basta a compensare la prudenza dettata dallo scenario internazionale. Il rapporto con gli Stati Uniti è troppo importante per l’Italia per permettersi una rottura. Oggi gli Usa rappresentano il secondo mercato extra-Ue per l’Italia e una delle principali destinazioni per il made in Italy ad alto valore aggiunto. Le tensioni commerciali mettono a rischio anche investimenti e partnership consolidate. Per il Presidente della Coldiretti Ettore Prandini, “la risposta non può essere una guerra di controdazi, ma un negoziato tra pari. È il momento di fare sistema a livello europeo per evitare un impatto devastante sull’intero settore agroalimentare”.
Dello stesso avviso Confindustria, che nel report propone una doppia strategia: rilanciare il mercato unico europeo, ancora ostacolato da barriere normative e infrastrutturali; diversificare i mercati di esportazione, puntando su aree con forte potenziale di crescita come India, Asean, Mercosur e Australia.