mercoledì, 20 Novembre, 2024
Esteri

A che titolo la Russia sta nel Consiglio di sicurezza?

La domanda potrebbe apparire come una domanda retorica, ma in effetti così non è. A settembre di quest’anno, il presidente dell’Ucraina Volodymyr Zelensky, rivolgendosi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, l’aveva posta in modo chiaro e diretto agli Stati membri. Il Presidente ucraino ponendo questo quesito aveva messo in discussione lo status di legittimo erede del seggio dell’Unione Sovietica al Consiglio di sicurezza, da parte della Russia.

Va detto che Kiev è stato, peraltro, uno dei primi firmatari – con Russia e Bielorussia – del trattato istitutivo dell’Unione Sovietica e, a differenza degli altri due Stati, potrebbe facilmente argomentare di essere l’unico a non aver violato in modo flagrante i principi della Carta delle Nazioni Unite. Questa circostanza non può e non deve essere sottovalutata, in quanto potrebbe assumere un peso rilevante nella valutazione giuridica di merito.

Del resto, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 1, della Carta delle Nazioni Unite, i cinque membri del Consiglio di sicurezza che esercitano il diritto di veto sono “La Repubblica di Cina, Francia, Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, Regno Unito e gli Stati Uniti d’America”.

Il seggio dell’URSS, dal dicembre 1991, è occupato da rappresentanti della Federazione Russa, sebbene il testo dell’articolo 23, paragrafo 1, non sia cambiato.

Nel preambolo delle due dichiarazioni adottate a Minsk a dicembre del 1991 dai leader di Bielorussia, Russia e Ucraina, i tre firmatari affermavano che «l’URSS, in quanto soggetto di diritto internazionale e realtà geopolitica, sta cessando di esistere».

Il destino dell’Unione Sovietica è stato definitivamente segnato il 25 dicembre 1991 con le dimissioni del suo presidente, Mikhail S. Gorbaciov. Un giorno prima, il 24 dicembre 1991, il rappresentante permanente dell’URSS presso le Nazioni Unite, l’ambasciatore Y. Vorontsov, aveva trasmesso al Segretario Generale delle Nazioni Unite una lettera del Presidente della Federazione Russa, Boris N. Eltsin, in cui si affermava che l’adesione dell’Unione delle Repubbliche socialiste sovietiche alle Nazioni Unite, compreso il Consiglio di sicurezza e tutti gli altri organi e organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, sarebbe stata proseguita dalla Federazione Russa (RSFSR) con il sostegno dei paesi del Comunità degli Stati indipendenti (CSI).

Il Segretario generale aveva quindi diffuso la richiesta del presidente Eltsin con la lettera di accompagnamento dell’ambasciatore Vorontsov tra i membri delle Nazioni Unite, aggiungendo che aveva “informato il presidente dell’Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza di queste lettere, in quanto si riferiscono a questioni di interesse per tutti gli organi e le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite…”.

Quindi nessun voto sancì il passaggio del seggio dall’URSS alla Federazione Russa, ma ciò avvenne in virtù esclusivamente dell’assenza di obiezioni, una sorta di “silenzio assenso”. La delegazione della Federazione Russa assunse il seggio sovietico nell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, nel Consiglio di sicurezza e in altri organi delle Nazioni Unite. Nessuna nuova credenziale venne presentata dall’Ambasciatore Vorontsov nella sua nuova veste di Rappresentante Permanente della Federazione Russa.

Nella storia delle Nazioni Unite, altre due volte vennero adottate misure per modificare o limitare la partecipazione di uno Stato membro e, in ambedue i casi, ciò avvenne attraverso il voto dell’Assemblea Generale. Nel 1971, venne assegnato il seggio alle Nazioni Unite della Repubblica di Cina al governo di Pechino, rimuovendo di fatto Taiwan dall’ONU. Tre anni dopo, sempre l’Assemblea Generale dichiarò che il governo sudafricano non aveva più il diritto di partecipare alle sue votazioni.

Tornando ai nostri giorni, se l’Ucraina dovesse decidere di rilasciare credenziali affinché uno dei propri diplomatici vada ad occupare il seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza in luogo della Russia, questa sarebbe peraltro una questione procedurale e, come tale, richiederebbe solo il voto favorevole di nove dei 15 membri del consiglio di sicurezza. A confermare questa ipotesi è recentemente intervenuto anche Thomas Grant, ricercatore senior presso l’Università di Cambridge.

A riaprire il dibattito sulla possibile esclusione dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è intervenuta la Risoluzione presentata lo scorso mercoledì al Congresso degli Stati Uniti dai membri Steve Cohen del Tennessee e Joe Wilson della Carolina del Sud, rispettivamente co-presidente e membro della Commissione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, nota anche come Commissione di Helsinki. Nelle conclusioni della risoluzione si evidenzia che, alla luce dell’invasione non provocata della Russia e la guerra in corso contro l’Ucraina, la presenza della Russia nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite “viola gli scopi e i principi delle Nazioni Unite”.

Nella risoluzione si legge che la Russia ha commesso “flagranti violazioni” della Carta delle Nazioni Unite che mettono in discussione il suo diritto a detenere un seggio nel Consiglio di sicurezza. A questo proposito vengono esplicitamente citati: l’annessione illegale di quattro regioni ucraine, la perpetrazione di atrocità nelle città ucraine come Bucha, il tintinnio di sciabole nucleari e la creazione di rischi per l’approvvigionamento alimentare mondiale.

I parlamentari statunitensi esortano il presidente Biden ad indirizzare “il Dipartimento di Stato, gli altri dipartimenti e le agenzie federali competenti affinché perseguano tutte le misure appropriate con alleati, partner e altri Paesi per limitare, sospendere o revocare i diritti e i privilegi che la Federazione Russa esercita nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ai sensi della Carta delle Nazioni Unite”.

Questa ulteriore iniziativa conferma gli sforzi del Congresso statunitense e della Casa Bianca di limitazione dell’influenza della Russia all’ONU. L’idea, sostenuta dalla Commissione di Helsinki, è ancora una volta quella di tentare di sfidare lo status della Russia come legittimo successore dell’Unione Sovietica all’ONU. Potrebbe essere giunto il tempo per la comunità internazionale di dare una adeguata risposta alla domanda posta a settembre dal presidente Zelensky.

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