L’accezione comunemente negativa del concetto di deviazione, del cambio di percorso rispetto alla retta via – certa e forte del suo cammino – ci ha spesso tratto in inganno. Perché deviare appunto, significa sempre cambiare ed implica, per sua natura, un cambiamento dal tratto sporadico o meglio eccezionale. In quanto tale, dal carattere rivoluzionario. Ho sempre amato delle città italiane soprattutto le piazze: il loro centro, anzi, la loro centralità intrinseca – poiché la piazza è per definizione un centro che gira su sé stesso. E forse però di una città non mi sono sempre sentita il baricentro: perché probabilmente a volte conviene perderlo e perdersi, o deviare da quel percorso centrale, prescelto, abituale. “Due strade divergevano in un bosco; io presi quella meno battuta” scrisse del resto Robert Frost nella sua celebre poesia La strada non presa – in questo caso quella meno sicura, preferendole la più incerta, priva delle orme di alcuno e quindi di un tragitto che rappresenti un soccorso nel bivio proposto in un’archetipica metafora dalla vita.
SCEGLIERE IL VICOLO
Più che le strade poco calpestate, un buon compromesso cittadino – assai differente dai boschi in autunno di Frost – è quello dei vicoli. I vicoli hanno sempre esercitato su di me un fascino particolare. Ho conosciuto persone che nella vita percorrevano soltanto vicoli e camminavano il più possibile vicino alle loro mura ed altri che invece seguivano la scia delle piazze e del vortice che li guidava nel centro città. Conoscere la strada attraverso i vicoli, certo, può essere più difficile senza averne fatto prima esperienza – eppure possono rivelarsi più veloci per arrivare a destinazione, e addirittura con meno intoppi: meno persone da scavalcare, e vere e proprie scorciatoie per arrivare a destinazione.
PERDERSI PER RITROVARSI
Ecco perché deviare non vuol dire per forza sbagliare o non rispettare un determinato codice etico. L’indeterminatezza della deviazione, la sua imperfezione, nettamente contrapposta alla perfezione architettonica della piazza, conferma il sentimento di ambiguità ed insicurezza che suscita. Ma a volte deviare conviene. Perché conviene cambiare strada: modificare il percorso, magari anche senza conoscere quello tracciato dai vicoli – potercisi perdere, per acquisirne uno nuovo e così la capacità di uscirne e di arrivare lo stesso nel punto preposto. A dimostrazione che deviare dalla retta via non è sempre sinonimo di errore. L’errore – ne sono certa – starebbe nell’ignavia, nell’incapacità di prendere alcuna strada per non rischiare di perdersi. E mi sono sempre chiesta perché dovremmo mai aver paura di perdere noi stessi, se poi è così bello potersi ritrovare.