La città dell’era orlandiana è cambiata profondamente, è un cantiere aperto da oltre 30 anni. Tangibile è il senso di una città ospitale che ha ripreso il futuro nelle proprie mani. La vecchia mafia con lo Stato nemico ha perso il controllo dei territori, senza ossigeno politico si è spostata nei grandi affari internazionali, allentando la morsa.
Le grandi opere cittadine si vedono: il centro storico è vitale e in pieno rinascimento, la metropolitana quasi completata, la ristrutturazione del porto navale in stato avanzato, cento progetti realizzati o in fase di realizzazione, ma la città profonda è infelice e
non ci sta a vivere ai margini della dimensione di un turismo vigoroso e rilanciato, ammaliato da tante bellezze storiche e naturali.
Parlo molto con la gente, anche nelle periferie sociali e territoriali. Registro sofferenza, malcontento, senso di isolamento. Tanti i mali:
assenza di lavoro e di senso di futuro, mancanza di giustizia sociale, inadeguatezza dei servizi pubblici, delinquenza simil camorristica, diversamente pericolosa perché in crisi d’identità, figlia della crisi storica di Cosa Nostra.
Le periferie, a Palermo, come in gran parte del Paese, esprimono malcontento nei confronti di un centrosinistra che riscuote consenso
prevalentemente negli ambienti piccolo-medio borghesi, qui prevalentemente impiegatizi.
Le periferie sociali e territoriali palermitane, considerato peraltro che “U Sinnacu” non sarà più candidabile, sono visibilmente orientate a dare una spallata al governo cittadino del cambiamento. Un cambiamento distante dai destini della gente comune, dei più deboli.
È possibile un cambio di passo?
Forse ma il voto è alle porte: a Palermo si vota il 25 giugno 2022.