Che in politica e in democrazia si possano cambiare scelte e percorsi è un fatto normale. Non è un reato, così come non è un reato l’ambizione politica. Sono riflessioni personali altre volte di partito per adeguarsi alla realtà che cambia. Quello che invece stupisce è il piegare idee e valori, – quelli per cui si sono chiesti i voti ai cittadini -, alle disinvolture e interessi dei leader che fanno il bello e cattivo tempo a danno degli stessi elettori. Lo scenario del Governo è un buon esempio di come più che idee e valori a dettare le regole sono le circostanze del momento. La personalità e le capacità del professore Mario Draghi oggi premier alla guida di un Governo dal “campo lungo”, e la pandemia hanno rivoluzionato la politica italiana.
Al punto da chiedersi se davvero tutti i litigi, tensioni, recriminazioni, i vaffa, il diluvio di insolenze oratorie, siano davvero esistite oppure è stato un brutto sogno. Che dire di quel partito (oggi non facciamo nomi per non turbare il clima di serena collaborazione) che due anni fa chiese la “messa sotto stato di accusa” del presidente della Repubblica Sergio Mattarella per un fantomatico “alto tradimento”, della Costituzione ed oggi lo stesso partito e gli stessi leader raccontano che il presidente è il primo baluardo della democrazia italiana.
Che dire di quei partiti e dei loro esponenti che negli ultimi dieci anni si sono detestati, odiati, insultanti, presi a veementi parolacce ed ora sono in sintonia su tutto. Come descrivere il cambiamento nei confronti dell’Europa, dapprima per alcuni odiata, disprezzata, arcigna dispensatrice di guai e ingiustizie, oggi invece, descritta come Dea della benevolenza verso l’Italia. Noi come moderati e nel segno della Dc eravamo consapevoli da sempre che moderazione, pacatezza e impegno rimangono le vie maestre per trovare buoni accordi di governo, e dialogare costruttivamente con Bruxelles. Altri preferivano gli insulti e le fake news dei complottismi.
Su queste giravolte c’è da riflettere, perché qualcosa sfugge ai cittadini elettori. Sono milioni di persone che votano per una idea, per dei valori e un progetto, ma sempre più spesso si ritrovano con il paradosso di formidabili cambiamenti. Si dirà per quanti coltivano studi filosofici che si tratta della “eterogenesi dei fini”, quindi non sappiamo mai come possa finire la storia, malgrado le nostre buone intenzioni. Ma nella politica italiana non siamo a piani così nobili di riflessione.
Più modestamente e concretamente nella Prima Repubblica, i partiti avevano leadership fondate su progetti di governo, su idee e valori discussi nelle miriadi di sezioni, i luoghi dove si formava consenso e adesione alle scelte. Valeva per la DC, per il PCI , il PSI, l’MSI, nelle sezioni si affrontavano temi con tesi congressuali, da dove si definivano scelte “consacrate” dai congressi. Erano modi per tenere unito un elettorato, per indicare una strategia, un percorso e una vittoria.
Dove per vittoria non si intendeva solo il risultato elettorale ma, soprattutto, idee, valori e progetti che la società civile avrebbe visto realizzarsi nel campo dell’economia, del lavoro, nella cultura, nelle scelte quotidiane dei cittadini. La democrazia era così estesa che c’erano comitati di gestione ovunque, anche nei quartieri e negli ospedali. Un altro mondo con delle regole, con posizioni nette, con progetti di crescita e di coinvolgimento collettivo. Perché se negli anni 60 venne realizzata l’80% della attuale rete autostradale nel giro di pochi anni, questo era un beneficio di tutti i cittadini. Degli elettori di destra , di centro, e di sinistra.
Certo ci sono stati passaggi storici e politici difficili, ci sono stati attacchi pesanti alla democrazia, ma c’erano anche certezze e valori non negoziabili. Quale è la differenza tra il passato e il presente? A nostro giudizio nella politica di oggi manca quel rapporto diretto e di fiducia con il voto di preferenza che il cittadino esprime per vincolare la sua scelta ad una persona. Un vincolo ai valori e principi politici. Se si cambia idea allora il cittadino può ritirare il suo consenso dando la preferenza ad altro politico.
Oggi si vota sotto l’effetto di un battage mediatico, su proposte che poi finiscono col diventare indistinte e sovrapporsi con altre. Possibile cambiare? Noi siamo convinti che per ridare forza al voto sia necessario ritornare alla preferenza, un consenso che sia alla persona che il cittadino elettore può scegliere e promuovere con la sua indicazione sulla scheda elettorale. Il politico deve rispondere a chi lo ha eletto, può cambiare idea ma ne deve anche discutere con chi lo ha promosso e inviato ad amministrare che sia il suo Comune, la Regione, o il Parlamento. Cambiare si può, è nella natura della democrazia, di società aperte e libere. Tuttavia dare una spiegazione è altrettanto democratico, ed è soprattutto un segno di rispetto per chi opera, lavora, e vive nella società facendo sacrifici, rinunce, per dare una prospettiva e un futuro al Paese.