sabato, 20 Aprile, 2024
Attualità

Istruzione e Burocrazia: due chiavi per far ripartire l’Italia

L’incompetenza, l’incapacità di prendere decisioni, la vacuità di dibattiti nei talk show che dovrebbero essere di approfondimento e diventano solo occasione di litigiosità sono  ormai diventati una caratteristica del modo di essere di una parte della classe dirigente italiana, politica e non.

Ma perché l’Italia, in passato sempre orgogliosa di essere una delle culle della civiltà e del sapere, è diventata così compiacente verso una evidente mancanza di cultura e di competenza? E come mai noi cittadini abbiamo una memoria sempre più corta che, in sede elettorale, ci porta a credere in promesse più volte mancate e pur sempre reiterate, che sono solo espressione di una classe dirigente mediocre, populista e poco credibile?

La risposta è da cercare in due aspetti che sono chiave per ogni civiltà moderna: la scuola e l’amministrazione pubblica. Un sistema educativo che garantisca formazione e competenza ed un processo amministrativo efficiente e meritocratico sono gli imperativi semplici da cui ricominciare per render questo paese più moderno, meno provinciale e per portarlo finalmente al passo dei tempi. 

Per anni gli Italiani hanno assistito alla sistematica distruzione del sistema scolastico ed educativo. Non solo sono diventati più ignoranti a causa di una scuola che non fornisce una base democratica, stabile e moderna per formare i cittadini,  ma addirittura hanno cominciato ad usare l’incompetenza come veicolo di denigrazione della cultura per esaltare, quasi a vessillo ideologico, l’uguaglianza tra gli individui. L’idea è che chi studia ed è preparato fa parte, in poche parole, di una élite che si pone quasi contro il popolo. L’esaltazione di questo approccio è culminata col concetto espresso da certi movimenti politici che affermano che “uno vale uno”. La denigrazione della cultura è diventata uno strumento di denigrazione dell’avversario politico. 

In secondo luogo la progressiva scomparsa della meritocrazia, complice anche forme di clientelismo politico sempre più sfacciate, nella selezione della classe dirigente della nostra amministrazione pubblica si è fatta carico dell’altro grande problema che oggi tutti lamentiamo ma che nessuno è capace di gestire: la burocrazia. Quando si entra a contatto col settore pubblico, processi farraginosi, bizantinismi linguistici e rigidità di qualsiasi tipo contribuiscono a fare della macchina amministrativa statale un vero incubo. Ciò risulta molto spesso addirittura in un meccanismo di preservazione del potere e di ostacolo sia all’imprenditoria ma soprattutto alla capacità decisionale ed alla assunzione di responsabilità delle istituzioni. 

È in questi due aspetti che risiede il vero male del paese. 

Metter mano alla soluzione di questi due problemi avvierebbe con un effetto “domino” che in un decennio potrebbe rimettere in corsa un paese attualmente senza speranze, arrivato ormai al cosiddetto “point of no return”. 

Solo in Italia si considerano ormai le poche cose che funzionano delle “eccellenze”. Questo è un bizantinismo frutto del fatto che quando una cosa va bene, per noi Italiani non rappresenta la normalità ma è chiaramente espressione di qualcosa di imprevisto e comunque di un fenomeno eccezionale. Considerare eccezionale la normalità non è però espressione benevola di una lode verso chi opera correttamente ma è piuttosto espressione triste di una grave malattia sociale che testimonia la nostra decadenza. 

In parole semplici, ci siamo abituati all’inefficienza ed alla dappocagine. 

Parliamo di riforme da un ventennio ma per motivi soprattutto di clientelismo politico nessuno ha il coraggio di iniziarle senza dover accettare compromessi stupidi che rappresentano un’offesa al buonsenso. Quello stesso buon senso che manca quando si deve constatare che la attuale maggioranza di governo non spende alcuno sforzo nel coinvolgere le opposizioni nei processi decisionali, soprattutto in un momento drammatico come questo. Il buonsenso che manca anche all’opposizione, sempre pronta a sbandierare vessilli e temi populisti spesso non attinenti al contesto attuale, semplicemente per fuorviare l’attenzione dei cittadini dai problemi veri e magari per coprire la propria incapacità di proporre soluzioni alternative. Ed ancora, quello stesso buon senso che non permette a noi tutti di sederci ad un tavolo e riconoscere che le cose van fatte da chi le sa fare e che il buon lavoro, qualunque esso sia, va riconosciuto e va premiato. 

Ed allora è giunto il momento di capire che non è vero che “uno vale uno” ma che invece sarebbe meglio riconoscere che se “uno è capace potrebbe far bene per tanti”.

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