giovedì, 14 Novembre, 2024
Attualità

Se il virus umilia le élites dirigenti

La pandemia è uno shock esterno di portata generale che mette a dura prova la tenuta dei sistemi sanitari, l’economia, i servizi sociali, la psicologia individuale e sociale, ma soprattutto la capacità delle classi dirigenti di fronteggiare il grande pericolo.

In pratica, si tratta di uno stress test che fa venire a galla pregi e difetti. Il paragone con la guerra ha una sua efficacia ma non è del tutto preciso: in guerra non sai se vincerai o perderai. E ce la metti tutta. Con la pandemia, alla fine, il virus, in un modo o in un altro, sai che soccomberà. E questa vittoria scontata spesso induce a commettere errori e a sottovalutare chi ci minaccia.

Sia in guerra che durante una pandemia, il ruolo svolto dalle classi dirigenti è cruciale. All’inizio, i cittadini, o popolo che dir si voglia, si stringono intorno ai loro governanti e si aspettano di essere condotti verso la vittoria. In corso d’opera, se le cose si mettono male, nei governati aumenta il disagio e diminuisce la fiducia nelle élites che li guidano. E questo indebolisce complessivamente la capacità di resistere agli attacchi del nemico.

Le dittature, sia in guerra che nelle pandemie, hanno un vantaggio rispetto alle democrazie: gli ordini non si discutono, il monopolio assoluto della forza e la repressione del dissenso facilitano l’applicazione certa e rapida delle decisioni, il controllo dell’informazione nasconde le verità scomode e consente al gruppo dirigente di apparire senza macchia e sempre vincente.

Ovviamente, anche tra i regimi totalitari e autocratici ci sono quelli che usano il potere assoluto   in maniera intelligente e con efficacia rispetto al male da debellare, e coloro che invece ne abusano provocando disastri.

Nelle democrazie, invece, le élites dirigenti devono conquistarsi giorno dopo giorno le medaglie sul campo dimostrando di saper affrontare i problemi, di gestire il consenso iniziale senza sprecarlo, di fornire informazioni corrette e non manipolate, di saper “raccontare” quello che sta succedendo per ispirare i comportamenti individuali e collettivi più adatti a sconfiggere il virus.

Se guardiamo a quello che è successo dal Gennaio 2019 ad oggi, il quadro è desolante: nessuna delle élites dirigenti si è mostrata all’altezza, anche qualcuno ha capito prima di altri gli errori commessi ed è corso ai ripari.

La Cina è stata ovviamente l’imputata numero 1. All’inizio nessuna trasparenza interna e internazionale sul problema, repressione spietata di chi denunciava la malattia, poi misure draconiane imposte con la forza per contenere la pandemia. In seguito, la macchina statale cinese ha sfoderato la sua efficienza procedendo a screening di massa e, a quanto pare, anche a vaccinazioni su larga scala, riuscendo così a tornare ad una situazione di quasi normalità.

Lo stesso esempio non è stato seguito dalla Russia di Putin che è arrivata tardi a capire il problema né dai tanti dittatorelli o autocrati sparsi nei vari continenti che hanno fallito nella gestione del virus.

E cosa dire delle nostre democrazie? Negli Stati Uniti, alle falle mostruose di un sistema sanitario iniquo che non è un servizio pubblico, si è aggiunta la miopia dell’Amministrazione che è entrata in conflitto perfino col gioiello dell’America, la comunità scientifica più blasonata del mondo, sbeffeggiata e messa in disparte per le verità scomode che diceva sul virus.

In Europa, a parte il sistema sanitario della Germania, nessun altro è stato capace di reggere bene all’onda d’urto. Basta guardare la percentuale di morti per milione di abitanti. Ma la cosa più sconcertante è stata la leggerezza di tutte le élites dirigenti nell’affrontare la seconda ondata. Alcuni Paesi erano stati capaci di assumere decisioni efficaci, come l’Italia a Marzo e gli altri che avevano seguito il suo esempio nei mesi successivi. Ma da Agosto in poi si sono persi tutti per strada, in una sorta di incoscienza collettiva davvero inspiegabile. È come se avessero dimenticato che la forza principale del nemico era ed è non tanto la sua letalità quanto la sua vorticosa capacità di contagio: era ed è necessario innanzitutto evitare che si ammali contemporaneamente un numero talmente elevato di persone da non poter essere curato a causa delle inefficienze o anche dei semplici limiti dei sistemi sanitari.

Un errore madornale che ha fatto diventare l’Europa il focolaio di contagi più grande del mondo. Una figuraccia per tutte le élites dirigenti di maggioranza e di opposizione. La ricerca del consenso a tutti i costi e la voglia di non scontentare i propri cittadini ha impedito alle classi dirigenti di adottare per tempo decisioni impopolari ma utili a proteggere i loro governati dagli artigli del virus. Salvo dover, con ritardo, imporre restrizioni più dure di quelle che, adottate per tempo, avrebbero potuto contenere i contagi e diluire nel tempo la diffusione del virus.

Un errore imperdonabile che oggi paghiamo tutti e che in parte va imputato anche ad opinion leader, generici o ella materia, e mezzi di comunicazione che hanno alimentato leggerezza di comportamenti e non hanno tenuto sotto pressione i politici che nei mesi estivi avrebbero dovuto preparare i propri Paesi alla seconda ondata. Ora tutti in Europa hanno finalmente premuto il pedale del freno, ma la macchina del virus non ha l’ABS e impiega tempo prima di perdere velocità. Impariamo la lezione, in vista della terza ondata che ci sarà dopo il rallentamento che vedremo da qui a Natale.

Alla fine la pandemia finirà ma è necessario limitare i danni alle persone, all’economia, e anche alla credibilità dei sistemi politici basati su libertà e democrazia.

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