venerdì, 29 Marzo, 2024
Il Cittadino

Dichiarazione di fallimento

La Calabria zona rossa non per Covid, ma per commissariamento statale

La Calabria zona rossa non per Covid, ma per commissariamento statale.

Francamente pensavo di festeggiare in altro modo il primo anniversario di questa rubrica.

Il primo articolo è uscito infatti il 2 novembre 2019 – di sabato, una anomalia – tutti gli altri di domenica, uno dopo l’altro, per un anno intero senza saltare un appuntamento.

Ringrazio moltissimo chi mi ha seguito, sono lusingato per chi ha apprezzato e condiviso le mie considerazioni, ho molto gradito e considerato tutte le critiche ed i dissensi che mi sono stati mossi, perché mi hanno consentito di rimeditare il mio pensiero, a volte correggendolo, a volte rafforzandolo.

Chi mi legge sa che non resisto al richiamo della mia Calabria: come ogni tanto devo andarci fisicamente, ogni tanto devo necessariamente scrivere di lei.

L’occasione questa volta era data dal primato acquistato dalla Calabria, assieme alla Lombardia e al Veneto, con gli arzigogolati criteri per attribuire il cucchiaio di legno nella lotta al Covid.

Il primo impulso è stato di parlarne ironicamente: sia pure in negativo, la mia vessata e bistrattata (dallo Stato) e bellissima Calabria, per una volta risultava “prima”: addirittura assieme alla Lombardia e al Piemonte, regioni che nel dopoguerra si sono fatte grandi col lavoro proletario dei calabresi, lì travasati per fame e trattati come qualcuno vorrebbe trattassimo oggi gli immigrati africani: il «non si affitta ai calabresi» è una vergogna indelebile e non ancora risarcita.

Volevo ironizzare sulla nostra calabrese oggettiva difficoltà – se non proprio incapacità – organizzativa, che ha portato alla dichiarazione di zona rossa nonostante un contagio inferiore alla media nazionale ed una occupazione dei posti in terapia intensiva del 9% (in Lombardia sfiora il 50%). Ecco, mi dicevo, sovvertendo un noto modo di dire, virtù private (i calabresi sono prudenti: «cu si guardau si sarvau», chi è stato attento si è salvato, un nostro diffuso proverbiò) e vizi pubblici dei nostri amministratori.

Sennonché, documentandomi, una immediata delusione: il merito del primo posto, sia pure al negativo, neppure questa volta è dei calabresi.

I calabresi, con la sanità regionale non hanno nulla a che fare da più di dieci anni! Sono commissariati dal 2009. Il merito è dello Stato, quindi, non “nostro”: che delusione!

Scrivo, quindi, per rabbia: che diventa indignazione rivedendo l’intervista del Generale Saverio Cotticelli, commissario della Sanità calabrese, con poteri assoluti, aumentati da un recente decreto, e responsabile (inconsapevole: guardatevi il video) dell’emergenza Covid in Calabria. Riassunto: «mò vediamo, mò facciamo, non so quanti posti abbiamo realizzato, Maria lo sai tu?, no? mò chiediamo all’usciere, non sono io il responsabile del piano anti Covid, anzi sì».

I calabresi l’hanno vista tutti. L’ha vista anche il Prof. Conte, il quale, scordandosi di averlo nominato e confermato, ne ha chiesto la rimozione affermando che la Calabria merita un “commissario” competente: senza neppure porsi il dubbio che lo Stato dopo dieci anni dovrebbe chiedere scusa singolarmente a ciascun calabrese e restituire loro la Sanità con i fondi necessari. Senza neppure fare presente al Ministro della Sanità il suo onere di vigilanza ed invitarlo a trovare il tempo di occuparsi – non giacobinamemte, se possibile, auspico io – anche di noi calabresi, ultimi per antonomasia.

L’emergenza ‘ndrangheta (anche questa, come accade verso il coronavirus, a mio sommesso avviso combattuta solo a parole e con armi inefficaci) ha fatto sì che questi dieci anni di commissariamento fossero affidati per lo più a militari: come se compito della sanità non fosse quello di curare la gente, ma l’ordine pubblico.

Molti degli amministratori calabresi hanno urlato, inascoltati, in tempi non sospetti, allo sfascio della sanità calabrese che questi anni di commissariamento hanno determinato.

Per tutti cito Giovanni Calabrese, Sindaco della mia città natale, Locri, che si è sgolato e strenuamente battuto per l’Ospedale della Locride, fino agli anni Novanta centro di eccellenza, ed oggi emblema dello sfascio che lo Stato ha determinato. Ospedale che mi è molto caro per la sua genesi (Salvatore Gemelli, “Un ospedale per la Locride”, Frama Sud, 1975): «…Il Dott. Barillaro…divenne così uno dei principali fautori dell’iniziativa… In pratica, il nobile medico, accettando e portando avanti il progetto, destinava la sua avviatissima clinica alla morte».

Il Dottor Vincenzo Barillaro era mio nonno materno, morto nel 1953. Mia mamma raccontava che lui rispondeva alla nonna, che lo rimproverava di non pensare così al futuro dei suoi figli: «Grazia cara, la mia piccola clinica diventerà inadeguata alle esigenze dei tempi moderni e finirà con me. Un grande ospedale assicurerà cure a tutta la popolazione e in esso troveranno lavoro i nostri figli, i nostri nipoti e tanta altra gente».

Perché anche la Calabria ha – e non da ora – una grandissima coscienza sociale.

E questi nostri governanti allo sbaraglio dovrebbero prenderne atto: così come, ineluttabilmente, in questo momento tragico, lo Stato dichiarando la Calabria “zona rossa”, non per i numeri del contagio, ma per altri parametri derivanti dall’incapacità da esso stesso dimostrata, ha dichiarato il suo autofallimento.

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