giovedì, 25 Aprile, 2024
Società

Consumo responsabile: in Italia una pratica consolidata anche se in calo nel 2020

Viviamo in una “società dei consumi” la cui economia è fortemente orientata verso l’incremento della produzione e l’incessante acquisto di prodotti. In tale contesto, le scelte di acquisto e consumo sono decisive per la sostenibilità da un punto di vista ambientale e sociale. 

Ed è questo il motivo per il quale a livello internazionale, europeo e nazionale, i governi puntano sempre di più i riflettori sul concetto di “acquisto responsabile”. 

Sia l’Unione europea che l’Italia hanno adeguato, negli anni, i loro programmi all’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile adottata dall’ONU nel 2015. Un documento che, riconoscendo lo stretto legame tra il benessere degli esseri umani e quella dell’ambiente che ci circonda, ha individuato 17 obiettivi che toccano una serie di questioni vitali per tutto il mondo. 

L’obiettivo numero 12 riconosce proprio la necessità che “tutte le persone, in ogni parte del mondo, [devono avere] le informazioni rilevanti e la giusta consapevolezza dello sviluppo sostenibile e di uno stile di vita in armonia con la natura”.

Alcune indagini condotte dimostrano che, grazie alla grande attenzione dedicata alle tematiche ambientali e della sostenibilità, anche in Italia, come negli altri Paesi europei, la pratica del consumo responsabile si stia consolidando. 

Nel 2018 l’Osservatorio per Coesione e l’Inclusione Sociale (OCIS) ha avviato un’indagine biennale sul consumo responsabile in Italia e, tra il 3 e il 7 febbraio 2020, la SWG ha effettuato un sondaggio su un campione di 1200 cittadini italiani.  Lo studio rappresenta l’ultima mappatura relativa al consumo in Italia prima della diffusione dell’epidemia da Covid-19. 

Il lavoro confronta i dati ottenuti nel biennio 2018-2020 con quelli relativi al 2002. Ciò che emerge da una prima analisi dei risultati è un consolidamento del consumo responsabile: se, infatti, la quota di persone intervistate che adottano scelte di consumo responsabile passa dal 63,4% del 2018 al 62,3% del 2020, la tendenza dell’ultimo ventennio è un chiaro incremento (+219% rispetto al dato contenuto nel rapporto IREF del 2002).

Nello specifico, si riscontra una contrazione delle persone che sostengono il circuito del commercio equo e solidale (COMES): se nel 2018 il 37,3% del campione aveva acquistato presso un punto vendita del COMES nei dodici mesi precedenti all’indagine, nel 2020 la percentuale si riduce al 33,8%. In crescita, invece, la percentuale di chi fa viaggi responsabili – dal 7,5% del 2018 al 9,4% del 2020 – e di chi fa la spesa tramite un gruppo di acquisto solidale (GAS): dal 10% del 2018 al 12,3% del 2020 – circa 800.000 persone in più. Rimane infine pressoché invariato il numero di persone che adottano scelte di consumo ispirate al principio della sobrietà – 51,8% nel 2020 rispetto al 51,7% – confermando una mutazione significativa dei comportamenti di acquisto rispetto al 2002 (10,5%).

Un altro importante elemento analizzato dall’indagine riguarda la conoscenza delle diverse forme di consumo responsabile: la percentuale di chi non conosce il consumo critico scende dal 54% nel 2018 al 42,4% del 2020, mentre la percentuale di chi ignora il commercio equo e solidale scende dal 36,8% al 33,9%. Anche le scelte di consumo ispirate alla sobrietà, il turismo responsabile e i gruppi di acquisto solidale sono sempre più conosciute. A tal riguardo, di particolare rilievo è la contrazione della percentuale di persone che dichiarano di non conoscere i gruppi di acquisto solidale, dal 60,4% del 2018 al 47,5% del 2020. 

I numeri che un po’ scoraggiano, però, sono quelli che rivelano il disinteresse da parte degli italiani per tali forme di consumo, nonostante ne siano a conoscenza: mentre nel 2018 solo per il turismo responsabile e la spesa tramite GAS, la percentuale di persone non interessate è vicina o superiore al 30%, nel 2020 la percentuale aumenta per tutte le forme di consumo responsabile, arrivando a toccare punte del 42,5% per il turismo responsabile e il 40,2% per la spesa tramite GAS, rimanendo comunque vicino o superiore al 25% per le altre forme (consumo critico, commercio equo e solidale e sobrietà). 

Questi dati fanno pensare a un processo di polarizzazione tra cittadini-consumatori responsabili e cittadini-consumatori indifferenti.

Infine, se il consumo responsabile registra una lieve contrazione in termini assoluti, cresce tuttavia la percentuale di chi adopera tutta la gamma di pratiche identificate nel questionario, facendo pensare che il consumo responsabile si stia affermando come stile di vita, soprattutto rispetto al 2002. 

Infatti, lo studio rileva che, mentre nel 2002 il consumatore responsabile aveva un profilo ben definito in base a caratteristiche anagrafiche, socio-economiche e geografiche, oggi è molto diverso: è stato appianato il divario uomo/donna e generazionale. Attualmente il consumo responsabile coinvolge anche i meno istruiti e le persone che non ricoprono posizioni lavorative apicali. Anche la differenza tra aree geografiche si è ridotta notevolmente. In sintesi, il consumo responsabile, rispetto al 2002, ha abbandonato la connotazione “di classe”. 

Va riconosciuta, quindi, una maggiore consapevolezza da parte dei consumatori degli effetti sociali e ambientali che le scelte di acquisto hanno. Ciò è certamente dovuto al lavoro di sensibilizzazione e diffusione di informazioni svolto dalle organizzazioni e anche alla maggiore reperibilità di talune merci. 

Ora, per non arrestare questo andamento, e anzi incoraggiarlo, è importante favorire un’azione di sistema volta ad aumentare l’informazione e l’educazione alla produzione al consumo responsabile e, contestualmente, sostenere modalità di acquisto sostenibile.

Francesca Forno, docente di sociologia presso l’Università di Trento e membro dell’OCIS di Reggio Emilia e Paolo Graziano, docente di Scienze politiche presso l’Università di Padova e Co-coordinatore dell’OCIS di Reggio Emilia, ritengono che sia necessario adottare misure concrete che consentano lo sviluppo e la sopravvivenza di realtà sostenibili: “ad esempio affitti calmierati, abbattimento della tassa per occupazioni di suolo pubblico o lo sviluppo di piattaforme di comunità che possano facilitare l’acquisto e la vendita di prodotti che rispettano ambiente e lavoro”. 

Nelle grandi città, e talvolta nei piccoli centri urbani, si assiste a queste pratiche, ma si presta poca attenzione alle aree rurali, per le quali misure del genere potrebbero essere anche volano per l’economia locale.  

Per consolidare questi processi e implementarli, la sola azione individuale non basta. 

“È fondamentale il ruolo delle istituzioni, a partire da quelle più vicine ai cittadini, che non solo possono sostenere l’economia eco-solidale con appositi provvedimenti volti a valorizzarne il ruolo e a facilitarne la diffusione, ma in quanto esse stesse consumatrici possono riorientare i propri acquisti e i propri consumi in modo responsabile”.

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