giovedì, 18 Aprile, 2024
Quirinale
Politica

A chi giova soffiare sul Quirinale?

Non mancano giorni senza che si punti il dito o si fissi  lo sguardo verso il più importante dei sette Colli sul quale venne fondata Roma, il Colle Quirinale, residenza ufficiale del Presidente della Repubblica italiana dal 1946, già del Re d’Italia dal 1870.

In questa legislatura, infatti, il Presidente della Repubblica, è chiamato in causa frequentemente, anche per le più disparate questioni prettamente politiche che non gli appartengono direttamente perché il suo ruolo va oltre i tre poteri tradizionali (legislativo, esecutivo e giudiziario). Egli è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale, come recita il comma 1 dell’articolo 87 della Costituzione. Svolge un’attività di controllo, di stimolo e di rappresentanza, oltre alle sue specifiche funzioni elencate nei successivi commi del suddetto articolo e non solo, a parte il ruolo  di  esclusivo custode della Costituzione medesima.

Alcuni politici e rappresentanti di partiti lo invocano e tentano di coinvolgerlo come meglio possono, come ad esempio per la questione del CSM, di cui è Presidente e per altre vicende aperte o bloccate, per sollecitarne chiarezza e risoluzioni in tempi ragionevoli. Ma è anche bersaglio privilegiato in questo periodo con l’approssimarsi di eventi particolari e straordinari, quali il referendum costituzionale di portata nazionale e le elezioni amministrative del 20 e 21 settembre p.v., nelle quali sono interessate ben sette Regioni e circa mille Comuni, alcuni dei quali capoluoghi di regione.

I messaggi ermeneutici e politichesi, destinati anche alla comune opinione, contengono ipotesi proiettate ad immaginare i risultati di tali votazioni e le possibili ricadute che potrebbero far innescare a livello politico/istituzionale quali, ad esempio, lo scioglimento anticipato delle camere ed il ritorno al voto; il relativo  risultato, a sua volta, con un quadro parlamentare eventualmente diverso dall’attuale, indurrebbe a far riflettere sulla stessa rappresentatività della vigente carica presidenziale.

Sarebbe una vera forzatura sostenere che il Presidente della Repubblica possa, col mutare dell’assetto Parlamentare, non essere più rappresentante dell’unità nazionale.

Il Presidente della Repubblica è una figura super partes e ciò emerge anche dalle sue responsabilità, come affermano i successivi articoli 89 e 90, che così recitano, rispettivamente:

“Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità” (art.89 comma 1);

Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione.

In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri.” (art. 90).

È importante ricordare, altresì, che, ai sensi del seguente articolo 91 “Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione  dinanzi al Parlamento in seduta comune.”

È una investitura che, anche a seguito di nuove formazioni politiche in Parlamento, durante il settennato, non può essere messa in discussione, salvo che il Presidente stesso, nel saluto di insediamento al nuovo Parlamento,  a camere riunite, non esprimesse volontà specifiche, anche perché il Parlamento, nei confronti del Presidente della Repubblica, ha facoltà di eleggerlo e non di revoca, tranne che per i motivi di cui sopra e cioè “per alto tradimento o per attentato alla Costituzione”.

Una volta eletto, quindi, il Presidente della repubblica, rimane in carica per sette anni, salvo dimissioni volontarie  anticipate, ma può anche essere rieletto, come avvenne per il predecessore dell’attuale Presidente.

Non possiamo non sapere che, ai sensi dell’articolo 84 della Costituzione, “Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici.” Pertanto può non aver mai militato in partiti o ricoperto incarichi politici o di Governo.

In questo periodo, in particolare, alcune forze politiche manifestano, spesso, al presidente della repubblica, problemi dell’attività di governo non in linea con la politica parlamentare e gli  sollecitano lo scioglimento anticipato delle Camere (art. 88), ritenendo il Governo non in grado a fronteggiare pienamente e puntualmente le emergenze immigrazione e quelle scaturite dall’epidemia da coronavirus.

Per quanto riguarda, invece, un esito positivo del voto sul  referendum confermativo circa il  taglio del numero dei parlamentari, nella relativa legge costituzionale, si afferma che la riforma avrebbe i suoi effetti e ricadute dalla successiva legislatura, la cui scadenza naturale è prevista per marzo 2023. È notorio che tale scadenza è preceduta da altra, parimenti importante, quale quella del   settennato del Presidente della Repubblica (03 febbraio 2022), preceduta, a sua volta, dal famoso semestre bianco, durante cui “Non può esercitare tale facoltà …. (2 comma, art. 88).

L’attuale Parlamento, pertanto, in seduta comune, ed i 58 Consiglieri Regionali eletti, dal 3 gennaio 2022, saranno convocati dal presidente della Camera per eleggere il nuovo Presidente della  Repubblica. (Art. 85)

Queste scadenze, il quadro politico generale e le aspettative delle varie forze politiche in campo, contribuiscono ad alimentare un potenziale ingorgo istituzionale senza precedenti, da cui ogni forza politica  vorrebbe trarne il massimo vantaggio.

Non si può prescindere, comunque, sulla base di quanto esposto, di alcune osservazioni e considerazioni tra cui la tendenza a voler annullare le differenze sostanziali esistenti tra le elezioni politiche e quelle amministrative e far sì che queste ultime abbiano riflessi sul prosieguo della stessa Legislatura e non solo; si vorrebbe, infatti, che anche il prosieguo del settennato del Presidente della Repubblica in carica sia messo in discussione, non più rappresentativo, secondo i fautori di questa tesi, delle forze politiche che l’hanno eletto. 

In tal senso le risultanze delle elezioni regionali avrebbero  ripercussioni dirette sulla legislatura in corso e persino sul settennato del presidente della Repubblica, perché ne risulterebbe alterato il quadro politico parlamentare complessivo che lo ha eletto; mentre l’articolo 83 della Costituzione, così recita:

“Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri.

All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio Regionale in modo che sia assicurate la rappresentanza delle minoranze. La Valle D’Aosta  ha un solo delegato.

L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’Assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta.”

Tornando, quindi, al referendum sul taglio del numero dei parlamentari, alcune forze politiche sostengono che con un nuovo Parlamento ridotto di 345 unità, anche le rappresentanze regionali andrebbero proporzionalmente ridotte per l’elezione del presidente della Repubblica.

Questa tesi induce ad attente riflessioni se si considera che nell’Assemblea costituente vi erano due correnti di pensiero e cioè che una proponeva l’elezione diretta del presidente della Repubblica da parte del popolo, mentre l’altra  avrebbero voluto limitare la partecipazione al voto ai soli membri del Parlamento.

Si è giunti al compromesso di integrare la composizione del collegio elettorale con l’aggiunta  di 58 membri designati dai Consigli regionali, per dare voce anche ai principali enti pubblici territoriali, di cui la Regione è la massima espressione, partecipazione che andrebbe, piuttosto, rivista al rialzo,  in considerazione dei poteri  attribuiti alle Regioni, di cui al Titolo V.

Non se ne comprende, quindi, l’opportunità di proposte già in Parlamento, sulla riduzione proporzionale rispetto ai 345 parlamentari, visto che la partecipazione dei delegati regionali è un rafforzamento dei principi di rappresentanza, sopratutto delle minoranze, per quel forte sentimento di UNITÀ NAZIONALE che il Presidente della Repubblica rappresenta.

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