Sullo Ius Scholae si è sviluppato un acceso e controverso dibattito con leader politici che rivendicano la massima libertà di discutere di una riforma della cittadinanza italiana. Le motivazioni di un confronto che ha assunto toni accesi sono molteplici: dalla necessità di inclusione di cittadini stranieri nel nostro tessuto sociale in epoca di un inedito gelo demografico, alla integrazione nel sistema scolastico, formativo e produttivo per occupare posti di lavoro vuoti. Passaggi per nulla semplici, che devono prevedere sia la volontà dello Stato italiano nell’offrire le migliori condizioni di accesso al nostro Paese ma, anche, al reale desiderio di chi arriva di sentirsi parte di una comunità accettandone i valori di base. Il rischio che al di là delle posizioni politiche e delle scelte che saranno fatte i nodi resteranno. Sia economici che sociali.
Uno sguardo ai numeri
Lo “Ius Scholae”, è un testo di riforma sull’ottenimento della cittadinanza italiana che lega l’acquisizione della cittadinanza al compimento di un ciclo di studi. Stando alla situazione attuale e, secondo la proiezione su un quinquennio, come riporta Tuttoscuola (la scuola infatti resta il fulcro della integrazione) sarebbero 560mila i potenziali beneficiari dello Ius Scholae. Di questi, 300mila acquisirebbero la cittadinanza italiana nel primo anno di applicazione, gli altri nei successivi quattro anni. Per un totale, segnala ancora Tuttoscuola, di sei alunni stranieri su 10 – sui circa 900mila complessivi – “nuovi italiani”: “circa il 7% della popolazione scolastica complessiva, l’1,2% degli aventi diritto di voto, un po’ meno dell’1% della popolazione attualmente residente in Italia”.
La stima effettuata dal portale d’informazione scolastica si basa sull’ipotesi che lo Ius Scholae venga riconosciuto a chi ha frequentato l’intero primo ciclo del sistema di istruzione italiano, fino alla terza media.
I giovani che rinunciano
Protagonisti della riforma dovranno essere i giovani adolescenti, che una volta acquisita la cittadinanza italiana, dovranno avanzare negli studi o, seguire progetti di formazione lavoro. Tuttavia l’Italia ha oggi il triste primato di avere 2 milioni di ragazzi, i cosiddetti Neet (Not in Education, Employment or Training) che non studiano, non hanno un lavoro e non sono interessati a percorsi formativi. Siamo maglia nera in una Europa che negli ultimi anni ha vissuto molti e profondi mutamenti sociali, economici e culturali.
I giovani e le giovani Neet sono figli di questi cambiamenti. La possibilità che un giovane rinunci ad ogni forma di impegno di studio, di formazione e lavoro ha dei punti fermi. Ne citiamo alcuni: un basso livello di istruzione aumenta di 3 volte il rischio di diventare Neet; le donne hanno il 60% di probabilità in più di rinunciare a studi e lavoro; mentre avere un background migratorio aumenta del 70% il rischio di diventare Neet. Un quadro che apre le porte ad altre riflessioni non rassicuranti.
Integrazione ed economia
L’integrazione richiede una nuova politica, scelte legislative e sociali condivise, un impegno economico rilevante. Mettere in pratica nuovi modelli di coinvolgimento, nuovi percorsi formativi, investimenti sul capitale umano. Realizzare un ampliamento del welfare, migliorare l’assistenza da quella sanitaria a quella abitativa. Settori dove abbiamo già difficoltà, carenze e, addirittura, emergenze. Servono quindi investimenti economici in una Italia che fa fatica.
La crescita del Pil, nella recente rilevazione Ocse, pone la nostra economia nel secondo trimestre ad un modesto +0,2%, in rallentamento rispetto al +0,3% del primo trimestre. Un bilancio che invia l’Italia al penultimo posto, dopo la Germania con un -0,1% di Pil. Questo lo scenario con le sue molteplici sfaccettature. Perché se è vero che abbiamo bisogno di nuovi italiani, di integrazione, di manodopera, di professionisti, di far aumentare i livelli contributivi per mantenere in piedi il sistema previdenziale, abbiamo nel contempo necessità di chi davvero vuole far crescere il Paese. Ben vengano tutti ma dobbiamo pur essere pronti alla possibilità di un cocente fallimento.